Sport
Gli umori dello stadio
di Federico Mussano
L’associazione tra cipresso e gesta sportive non è la prima che ci viene in mente: questo albero dalla forma piramidale affusolata ci riporta infatti a ben altro, al culto dei defunti e al ruolo sacrale ricoperto fin dall’antichità. Ma una cittadella dello sport progettata negli anni del fascismo non poteva non esaltare la sacralità dell’esercizio fisico, gli alberi del progetto del giovane architetto Del Debbio dovevano incorniciare un contesto paesaggistico imponente e di alta qualità. Imponente dunque il numero di cipressi destinati a puntare in alto, verso la gloria: ne furono piantati 1410 e per molti anni fecero da cornice alle adunate del regime con «gli schieramenti che facevano l’ingresso allo stadio dei cipressi fra inni e bandiere, calpestando l’erba che un fiume d’anni più tardi apparterrà agli scarpini dei campioni del calcio».
Tuttavia è il basket, e non il calcio, a fare da sfondo a una storia di amicizia tra un giovane della vecchia Roma di Campo de’ Fiori e un ragazzo di Boston, un sergente dell’esercito americano che aveva liberato Roma. Duke Kearney era «attratto più dalle mura dei cipressi che dal confezionato e troppo elegante stadio dei Marmi» che aveva ospitato, alla presenza del sindaco ma anche del 29enne Frank Sinatra, le finali di atletica riservate alle truppe alleate e così pensò (da giovane promessa della pallacanestro americana, promessa mancata essendo dovuto partire per la guerra) di organizzare un torneo… dopo aver comprato dai pescatori del Tevere qualche metro delle loro reti per fabbricare i canestri!
Finisce la guerra e viene il tempo della ricostruzione, delle ambizioni di ritornare protagonisti dello sport mondiale anche candidandosi a ospitare un’edizione delle Olimpiadi. E fu così, nel 1960 i Giochi Olimpici si tennero a Roma con fulcro nello Stadio Olimpico (il tempo dei cipressi era finito) e con meriti indiscutibili da attribuire a Giulio Onesti, il presidente del CONI che gestì lo sport italiano in momenti difficili con capacità manageriali, passione e competenza.
Mario Bianchini ci porta dall’altra parte del Tevere, allo Stadio Flaminio – precedentemente Stadio Torino, per ricordare la tragedia di Superga, e prima ancora Stadio Nazionale – teatro di una storia di triste burocrazia italiana (ma alla fine si riesce, seppure di soppiatto, ad avere una foto della lapide celebrativa di Valentino Mazzola e compagni), per poi riportarci all’Olimpico della cerimonia di apertura dei Giochi, quando Roma divenne «per qualche giorno la Capitale dell’universo».
Dopo la cartolina di Berruti e le bistecche di Mennea si arriva a colei che Bianchini chiama «la fidanzata di tutti» e cioè la palla del calcio, di quel calcio che – sport nazionale e massimo fatto di costume – palpita nell’angolino del cuore di tutti. Tommaso Maestrelli e Francesco Totti, aquile e lupi.
Mario Bianchini
Gli umori dello stadio
Palombi, 2015
pp.130, Euro 19,00

You must be logged in to post a comment Login