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Gli ultimi tre giorni di Pompei

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Alberto Angela  e il suo affascinante viaggio negli ultimi tre giorni della città prima della tragedia. 

di Aldo Onorati

 

Sulla fine  tragica di Pompei ed Ercolano si sono scritti volumi, girati film e realizzati servizi televisivi. Ci si chiederebbe: “Cosa c’è da aggiungere?”. A parte che in ogni campo non è mai detta l’ultima parola; il fatto è che, con l’opera di Alberto Angela (“I tre giorni di Pompei”, Rizzoli-Rai Eri, pp. 496. E. 20,00), ci troviamo davanti a una gigantesca lente di ingrandimento. Mi spiego. Fino ad oggi, esclusi alcuni seri studi monografici, non si “interrogavano” le cose apparentemente non significative. Questa lente sui frammenti ritrovati nelle città sepolte (Pompei ed Ercolano) hanno permesso di scrutare dentro gli ultimi giorni prima della tragedia in modo inusitato riportando in vita personaggi veri, che si sono salvati (pochissimi per la verità).  Ed ecco emergere dal silenzio dei millenni persone come noi, al  lavoro, al gioco, a chiacchierare sulla strada, nelle osterie, i negozi e le case in ci i servi preparavano i cibi per la cena. E nessuno sospettava che di lì a poche ore tutto sarebbe finito nella polvere! Un pathos crescente afferra il lettore, nel conto alla rovescia, in cui il vulcano è il vero protagonista, con le sue attività scientificamente descritte da Angela (e rese fruibili a un vasto pubblico grazie a una sorprendente sapienza narrativa).

Egli ha operato alcune rilevazioni che lasciano ammirati. Elenco in breve talune peculiarità, anche se il testo  meriterebbe una trattazione particolareggiata per i punti sconosciuti e per il credibile tentativo di spostare di due mesi la data dell’eruzione. Prima: il saggio scientifico-narrativo documentato al millimetro è tenuto vivo da una peculiarità che fa di Alberto Angela uno scrittore di prim’ordine. Seconda: noi veniamo a conoscere i nomi e la vita di persone che si sono salvate (ed attraverso le loro azioni singole risaliamo a quelle generali di due popolazioni – di Pompei ed Ercolano – coi loro desideri, i loro conflitti, l’amore, la ricchezza, l’usura, gli intrighi politici, i culti, i lavori idraulici, il tran tran quotidiano e le notti nei lupanari, soprattutto lo spavento di fronte alla morte incombente: mi viene da pensare alla potenza descrittiva di un De Foe del capolavoro “Il diario della peste”). Tutto questo pullulare di vita, incontri, speranze, piccole azioni quotidiane, scaturisce da attente letture delle monete, dei frammenti di vestiti, scritte murali, lettere e oggetti che a primo acchito sembrerebbero insignificanti. Terza: in un unico testo è esposto e sintetizzato magistralmente il massimo di conoscenze possibili su quell’avvenimento e sulle vittime di esso. Quarta: la scrittura è bellissima, asciutta, poetica e scientifica insieme. Quinta: l’autore ha trovato dimostrazioni probanti per spostare la data dal 24 agosto al 24 ottobre del 79 (le frutta autunnali, gli abiti pesanti ritrovati addosso ai corpi conservati dalla cenere, il vino già messo nei “dolia”, una sorta di botti odierne, dopo la vendemmia, l’ebollizione e la svinatura). Infine, Alberto Angela rivede pure la questione circa la fine di Plinio il Vecchio, la quale diverge dalla descrizione che ne ha fatta Svetonio. Ma la cosa sensazionale è questa: l’autore riesce a farci rivivere, con i “protagonisti” naturalmente scampati dalla tragedia, i giorni cruciali e le ore susseguenti all’eruzione dello “sterminator Vesevo” di leopardiana memoria (però il serial killer, per la precisione il monte Somma,  aveva già ucciso in passato almeno tre volte, in modo apocalittico, prima del 79 d.C., e la sua forma era diversa dall’attuale, essendo cresciuto in quattro periodi, fra il I e il III secolo d.C., tra il V e l’VIII quando le ceneri giunsero fino a Costantinopoli, dopo il Mille e poi dal XVII secolo al 1944).

Il conto alla rovescia inizia 48 ore prima del momento fatale, in un’atmosfera piena di fervore: le donne ricche si truccano (ed ora sappiamo con quali ritrovati), gli schiavi fanno ruotare la macina del forno (la farina era il petrolio bianco di quei tempi), Tito Suedio Clemente sovrintende con severità ai lavori pur essendo quasi il regista di intrecci fra i politici locali e gli imprenditori (nil sub sole novi), ad Ercolano sparisce un uomo assassinato, Rectina ( amica di Plinio il Vecchio) si sposta nella sua tenuta di campagna limitrofa a Pompei (una fattoria di 24 ettari). Nulla è inventato. Poi la catastrofe del cui pericolo gli abitanti non si erano resi conto nonostante i terremoti; quindi i tentativi di salvarsi in una fuga nella nebbia accecante che sa di zolfo e toglie il respiro, o in una corsa inutile verso il mare… Poi  cala una quiete mortale su plaghe deserte.  In queste pagine si tocca il vertice della narrazione.

E’ un’opera immensa, corredata da illustrazioni bellissime e da  una ricca bibliografia. Va riletta e studiata come si fa coi libri che “iniziano proprio quando finiscono”. Chi acquista il libro consente il restauro di un importante affresco di Pompei.

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