Connect with us

Lo Zibaldone

Gli “Spatriati” di Mario Desiati

Published

on

di Gisella Blanco

Il titolo è una non mediata dichiarazione d’infamia (“mai contento, mai nel mio centro, mai naturalizzato in luogo alcuno” G. Leopardi), impulsivo avviso che, a volte, la via di casa è smarrita, all’interno o all’esterno delle pareti domestiche di una patria asfittica e ambiguamente materna: la radice è il primo autorizzato incesto emotivo. La trama si svolge per narrazioni di continuità e discontinuità relazionali e civiche che si addensano sotto ogni paragrafo di descrizioni ambientali. Dal dato realistico si smuovono immagini mentali e sentimentali che esondano la memoria per consegnarsi all’ambiente aperto della coscienza comune. Per l’impervia strada di accadimenti interiori ed esteriori svolti tra Martina Franca (e il suo paesaggio pugliese), Milano e Berlino, l’inagibilità pervade ogni latitudine empirica ed emotiva. Desiati ci accompagna, per il tramite dei suoi personaggi, nel percorso dell’io che ricerca una relazione con se stesso, monogama nel protagonista Francesco, ancorato alla sua irrinunciabile terra tentacolare, perdutamente innamorato di Claudia, altra parte di sé, poligama e ondivaga, che giunge a metterlo in contatto con altri suoi ulteriori visi rimasti nascosti dal troppo parlare senza nulla dire di certi luoghi geografici e psichici. È la storia della multiformità dell’individuo amante segreto, che ha la pretesa di rincorrere se stesso rimanendo inchiodato alla medesima area di terra come un albero che vuole testare le sue radici ma, per farlo, impiega tutta la durata della sua esistenza (“l’uomo è un albero capovolto, ha le radici in cielo”). È la storia dell’incertezza dell’uomo contemporaneo che davanti al teatro feroce della propria stirpe si sente schiacciato e prova goffamente a liberarsi della sua ombra, nell’impossibilità di evadere dalla propria postura. È la storia dell’eros che evolve e involve nell’allegria becera e distratta della modernità celando la sua simbologia atavica di risorsa mitologica e poietica in qualsiasi dimensione antropologica.

Se Francesco e Claudia sono poli respingenti, antipodi introflessi che si cercano per convergenze e non si sfiorano che per fugaci incroci, è dalla loro intersezione impossibile che si può risalire a quell’unità dilaniata e incredula che raduna piccolezza ed enormità, misura e abnormità, straniamento e assuefazione, estraneità e complicità, patria ed estero, vita e morte, amore e disamore, uno e ciascuno sulla via del ritorno al sé (“Sul corpo […] sentiva il sesso degli altri maschi liberi come lui”). La sessualità si svolge come simbolo archetipico, riattualizzante dell’origine, a cui non si può sfuggire: “Il piacere ha un colore e il nostro era bianco, come il marmo contro il quale le premevo le ossa; era neve, latte, calce. Pensai alle pietre del mio paese, che in estate sono accecanti”. Se “gli oggetti si impregnano di energie pericolose”, il correlativo oggettivo, nella sapiente operazione descrittiva autoriale di luoghi e situazioni, diventa presagio, evocazione primitiva, impulso alla più intima confessione dell’inconfessabile, sempre più prossimo alla metafora: “Mi disse che nel pozzo era stata gettata una donna un secolo fa. […] mi stava dicendo che dove c’è un pozzo c’è sempre una donna che ci finisce dentro gettata da…un maschio”. Dalla sostanza impalpabile della poesia -“finestra sulle scrivanie”- alla materia impenetrabile dell’universo, il senso recondito di inadeguatezza all’esistere diventa esercizio di indagine etica, ricerca della scintilla infiammante che desta dalla sonnolenza del quotidiano in un reciproco e necessario sbagliarsi addosso, magistralmente rivelato nei versi di Raffaele Carrieri che si annidano a metà libro e ne istruiscono la luminescenza dall’inizio alla fine: “Io sono quello/che sbaglia tutto. Il verme, il frutto./ Sbaglio l’amore/ sbaglio nel largo/e nello stretto,/sbaglio a morire/dove non sono”. Se “per una maledizione di Afrodite, Psiche poteva amare Eros soltanto al buio”, ciò che accade all’individuo contemporaneo -che è l’individuo di sempre chiamato a nominarsi in lingue diverse- è di potersi conoscere al tatto preciso e incerto della propria oscurità che, per avventura, è la luce più provvida e sovversiva. “Non avrei mai smesso di amare chi ha una fiducia infinita nell’uomo al punto da sedersi in mezzo a un aeroporto abbandonato e leggere versi di una poetessa pugliese” è il messaggio/assaggio di riconciliazione selvaggia che residua dopo la lettura di questa opera e che riassume il senso di questa oscurità atavica e liberatoria nella quale si può essere genuini e intransigenti proprio come nel posto in cui si è nati (e si continua a nascere).

 

Mario Destiati

Spatriati

Einaudi, 2021

pp.288, euro 20,00

 

 

Continue Reading
Click to comment

Notice: Undefined variable: user_ID in /home/kimjcgib/public_html/wp-content/themes/zox-news-childfemms/comments.php on line 49

You must be logged in to post a comment Login

Leave a Reply

Copyright © 2020 Leggere:tutti