Lo Zibaldone
Giuseppe Lippi, il coraggio della critica
Giuseppe Lippi è mancato un anno fa, non sappiamo dove sia andato e speriamo stia viaggiando in (non) luoghi stupendi. E’ stato saggista, traduttore e curatore nel campo del Fantastico, termine a cui teneva con una visione chiara e giusta del significato che comprende fantascienze, terrori e fantamagie, e indica il punto di partenza giusto per chi affronta la moderna letteratura di fantasia; perciò amava con rigore difendere i confini fra generi e con passione ampliarli. Cresciuto su alcune riviste degli anni 1960, nel decennio seguente si gettò con coraggio nell’analisi critica di Leiber, Vance, Asimov, Bradbury, Dick, cui seguì l’approdo ad Urania di Mondadori. Le sue parole sono chiarificatrici: “era redatta con criteri umanistici, pur senza arrivare all’amore per il sofisma e il cavillo…era il momento in cui una certa letteratura popolare, intelligente e non ancora massificata, andava incontro a esigenze che il romanzo, fattosi improvvisamente anemico, non era più capace di soddisfare”. La visione di Lippi era clamorosa, come denota il linguaggio equilibrato con cui creava un ponte fra la ricca cultura di base e l’esigenza di farsi comprendere da un pubblico misto di colti borghesi e acculturati proletari.
Questo elemento sintetizza la migliore cultura del 1900, dal cinema alla musica al fumetto, e la difficile posizione di curatore di Urania dal 1990 alla morte, emerge in modo quasi tragico: dover portare avanti un patrimonio nel mezzo della decadenza generale. Con coraggio e senza compromessi, diceva negli ultimi anni: “pensiamo di vivere in un’epoca in cui il fantastico riveste un ruolo centrale […] ma questo dato si riferisce alla quantità […] la saturazione del mercato e delle stesse aree protette della letteratura con interminabili saghe fantasy, sequele di romanzi horror, fanta-scienze sempre meno attendibili e realismi magici, ha portato a un paradosso. Non possiamo prendere sul serio quasi nulla di tutto questo”;
“Il fantastico è l’eccezione, non la regola, ma se respiriamo favole da quando apriamo il giornale la mattina a quando spegniamo il televisore la sera, è ovvio che avremo soltanto barattato l’alterità di un genere originale con una serie di surrogati.” In tempi di paranoide attenzione al politicamente corretto come versione farsesca del Tasso che portava i suoi poemi al vaglio dell’Inquisizione, le sue parole dovrebbero essere incise sul granito come nascita di un movimento di pubblico, autori e addetti di tutti i settori dell’industria culturale, tesi verso una rivoluzione. Invece, negli ultimi anni ha dovuto combattere sulla difensiva, e probabilmente verrà ricordato dai più come il principale divulgatore dell’opera di Lovecraft, di cui fu anche traduttore. Presentato da Fruttero e Lucentini, diffuso da Pilo e Fusco, il solitario di Providence trovò in Lippi la cura che l’ha reso un classico anche in Italia. Il suo acume lo portava a svelare gli aspetti profondi di ogni opera, senza incensarla in tutte le sue parti anche in uno degli ultimi lavori, la raccolta buona parte della produzione in prosa di Clark Ashton Smith per gli Oscar draghi. Era un critico letterario completo, ma più di tutto onesto e politico. E va ringraziato, portando avanti la sua visione.
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