Lo Zibaldone
Gino Giaculli, La pelle dal mare
Un romanzo, si sa, può essere anche il luogo di racconto del proprio vissuto, di esperienze ed emozioni sedimentate e rielaborate nella forma oggettivante di una narrazione. Ed è quanto accade nella ultima prova narrativa di Gino Giaculli, La pelle dal mare (Lastarìa) in cui, pur trattando materia attuale e incandescente, è evidente un coinvolgimento autobiografico dell’autore che ci sembra compiere con questo scritto un deciso balzo in avanti nella sua scrittura narrativa. Innanzitutto perché è una storia che contiene al suo interno molte storie, nel senso di diversi percorsi di vita: alcuni frammentari, altri incompiuti per scelta, altri spezzati in modo violento; il tutto in uno stile che conformandosi alla materia si fa anch’esso franto, sincopato, paratattico, con frasi brevi o brevissime, a volte costituite da una sola parola, con frequenti a capo per isolare il periodo e dargli respiro ed urgenza espressiva.
Uno stile letterario, ma anche giornalistico, dunque, di chi ha lunga pratica con la cronaca e le corrispondenze da zone di guerra, proprio come l’autore, Gino Giaculli, redattore del Mattino con un trascorso da inviato nella Bosnia Erzegovina del periodo postbellico. Ma la guerra, come ripeteva Gennaro Jovine, l’inascoltato protagonista di Napoli milionaria, non è finita. E Giaculli ce lo torna a ripetere e a testimoniare con quest’opera: essa continua in varie parti del pianeta, non necessariamente lontane, a volte anzi vicinissime a noi, solo che assume connotazioni diverse, magari fuorvianti, anche perché depauperata di quelle passioni – o ideali o ideologie – che se non la nobilitavano almeno la motivavano. Ora sono guerre sporche, combattute molte volte sulla pelle di genti inermi e ignare, in questo caso in modo addirittura letterale. La pelle cui fa riferimento il titolo, infatti, non ci tragga in un inganno malapartiano: nessuna metafora ardita per raccontare un popolo e un momento storico: qui si parla dei migranti, dell’immondo traffico che ben conosciamo, reso se possibile ancora più sporco dal fine: fornire cavie per esperimenti tesi a bloccare il naturale processo di invecchiamento cutaneo dei doviziosi pazienti che si affidano alle cure di una clinica estetica celebre nei trattamenti antinvecchiamento. Una situazione che evoca altri esperimenti in tempi trascorsi (ma non da tanto) su altre cavie umane in un’apoteosi di crudeltà ed efferatezza che ci illudevamo superata: ora, invece che in un lager ci ritroviamo in un elegante centro estetico all’avanguardia. Restano invariati il disprezzo per l’altro, per le minoranze o per gli ultimi del pianeta e, come nota in margine, la passione per la musica di Wagner adorata dai nazisti di allora e qui dal direttore generale della clinica in questione.
Ed è proprio la musica un altro elemento che fa, è il caso di dire, da leitmotiv del romanzo: scandisce i luoghi e soprattutto i tempi e addirittura gli anni, restituendo atmosfere care a noi e soprattutto a Giaculli, appassionato di musica che non a caso ha affidato a un’icona della musica come Massimo Ranieri il compito di firmare la breve introduzione al testo. Che, l’abbiamo detto, segua diverse rotte, mescolando anche epoche e personaggi, concentrando però l’attenzione sulle complicate e dolorose avventure del gambiano Dilal scampato a un disastroso viaggio sul gommone e alla ricerca della figlioletta che spera scampata alla morte. Accanto a questo e agli altri personaggi e comprimari, ci sono i protagonisti, in un romanzo che è in fondo senza protagonisti, e cioè tre personaggi, due uomini e una donna, legati da un indissolubile e quasi misterioso rapporto di amicizia risalente ai tempi delle medie e poi del liceo nei primi anni Settanta: attraverso il fissa immagine di alcuni momenti salienti della loro vita adolescenziale l’autore ci restituisce in modo vivido e non privo di una punta di nostalgia il ricordo di quegli anni di battaglie sociali e di speranze a volte illusorie delle generazioni cresciute coi testi di Jesus Christ Superstar o dei concerti-evento dei Pink Floyd. E ci verrebbe da pensare che i tre amici – Dacia, diventata poi docente di liceo e appassionata di letteratura, Bartolomeo medico sempre in prima linea e in giro per il mondo, e il giornalista Giacomo – costituiscano in realtà un unico personaggio: una sorta di proiezione autobiografica dell’autore, di cui incarnano le passioni professionali e civili che vibrano nelle pagine di questo romanzo.
Gino Giaculli
La pelle dal mare
Lastarìa, 2020
pp. 120, Euro 14,90
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