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Religione

Francois Julien: “Risorse del Cristianesimo”

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di Francesco Roat

 Essendo tramontata, da parte del cristianesimo, l’era del suo predominio culturale, saldamente stabilitosi lungo i secoli in Europa dall’antichità all’epoca moderna, oggi è ormai tempo di tracciare quantomeno un bilancio della sua eredità e di quale contributo la religione all’insegna della croce ha dato e soprattutto può ancora dare al pensiero e all’esistenza di tutti noi postmoderni. È quanto cerca di fare il noto filosofo francese (ed ateo) François Jullien mediante il suo saggio: Risorse del cristianesimo, inteso ad “entrare” nel cuore del messaggio di Gesù, ma senza passare per la via della fede ‒ come recita il sottotitolo del testo in questione ‒, cercando di fare emergere: “quel che nella sua concezione può esservi di più audace e quindi fecondo”.

Sin dal tempo di Feuerbach molti fra i cosiddetti non-credenti hanno insistito sul fatto che il cristianesimo ‒ più ancora di altre confessioni religiose ‒ ha cercato di assolutizzare, divinizzandola, l’aspirazione umana all’altruismo, alla generosità, all’indulgenza e alla condivisione; in una parola: all’amore inteso nel senso più globale e agapico (caritatevole) del termine. Dio, insomma, sarebbe il risultato di una proiezione compiuta inconsapevolmente dall’uomo allorché attribuisce alla divinità quanto egli vorrebbe essere o avere. Ma, si/ci chiede Jullien, non è che questa tesi feuerbachiana ha finito col misconoscere ‒ al di là della questione se Dio sia o meno l’oggettivazione fantasmatica di un desiderio/ideale soggettivo ‒ ciò che il cristianesimo ci fa scoprire “sotto la figura di Dio”, ovvero l’incontro con l’altro e con l’alterità?

Una fra le principali risorse del cristianesimo, secondo Jullien, sarebbe ad esempio l’aver concretizzato e non meramente teorizzato una apprezzabilissima esigenza di universalità. Il Dio di Gesù, infatti, non è più patrimonio/caratteristica soltanto di un popolo, nello specifico quello ebraico, ma è padre di tutti; non a caso nel vangelo di Matteo si sottolinea che: egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45). Così come l’essere umano non è più delimitato, per Cristo e i suoi seguaci, da categorie anguste quali maschio o femmina, padrone o schiavo, giudeo o gentile. Tutti sono rivoluzionariamente uguali; hanno pari dignità in quanto figli di Dio.

Ma è l’evangelo di Giovanni, secondo Jullien, a rivelarsi maggiormente fecondo e risorsa ancora oggi utilizzabile pure da parte di chi professi l’ateismo. Nello specifico il filosofo francese ci fornisce qui una lettura inedita, luminosa e senz’altro interessante dell’ultimo vangelo canonico. Entro tale testo, in effetti, viene concepita per la prima volta la possibilità di un evento davvero nuovo/inaudito rispetto a tutto ciò che lo ha preceduto. Quello del Cristo inteso come Logos: ambito divino che fa in modo ogni cosa avvenga e non meramente divenga ‒ diversamente da quanto ritenevano i greci, depauperando in un certo qual senso l’essere in una concezione del divenire, visto quasi sempre nel segno del decadimento e della corruzione ‒; come a dire che esiste una “pura evenemenzialità” all’interno dell’essere. Quindi che un avvento possa dirsi tale sul serio, e che possa mutare del tutto la condizione umana. Dunque l’annuncio di un possibile esistenziale in grado di illuminare la vita (zoé).

Vita in quanto pienezza, però ‒ non riducibile alla mera esistenza ‒: una sovrabbondanza (perisson) che è al centro della riflessione giovannea. Entro tale visione tuttavia, ciò comporta che, puntualizza ancora Jullien: “chi resta all’interno dell’aderenza col proprio essere-in-vita, e vi si impantana, perde la capacità di essere pienamente, ovvero sovrabbondantemente vivo. Chi invece sa liberarsi da questa dipendenza nei confronti della sola preoccupazione per la propria vita, può sviluppare questa in una vita effettivamente viva, tale che non potrà morire”. Concezione ribadita peraltro anche dagli altri tre evangelisti (Mc 8,35 – Mt 10,39 – Lc 17,33).

Perciò, per il cristianesimo, l’uomo deve rinascere spiritualmente morendo prima a se stesso (all’egoità). Ecco l’inaudito del messaggio di Gesù, a cui l’evangelista invita a credere: non per dabbenaggine ma per fiducia. Fiducia nella possibilità che l’uomo divenga ex-sistente, cioè si tenga fuori dal mondo pur rimanendo in esso, o forse meglio: ecceda la misura del mondo, la sua consuetudine. Ma che vuol dire in pratica, si/ci domanda Jullien, tenersi fuori dal mondo? Rigettarlo/rifuggirlo è un modo di porsi rinunciatario, moralisticheggiante e alla fin fine sterile; quindi si tratta di abitarlo o meglio riabitarlo cogliendo il soggetto come risorsa volta a modificare il mondo, a de-coincidere con esso.

Significa altresì che ogni io riconosca ogni tu. Evadere dalla prigione narcisistica per aprirsi all’altro ed amarlo tramite un amore (agape) che non è né possessività né mero altruismo, ma forza espansiva/oblativa che si effonde senza limiti verso tutti.

François Jullien

Risorse del cristianesimo. Ma senza passare per la via della fede

Ponte alle Grazie,2019

pp. 119, euro 14,00

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