Lo Zibaldone
Flash, il grande viaggio
di Giovanni Graziano Manca
A quarant’anni dalla sua prima pubblicazione in Francia, Nutrimenti pubblica in Italia, nella traduzione di Paolo Bellomo, “Flash, il grande viaggio” (titolo originale del libro “Flash, ou le grand voyage”). Il libro, per la scorrevolezza della lettura avvincente e per le peculiari tematiche trattate, ha tutte le carte in regola per suscitare ancora un grande interesse retrospettivo nei confronti di un fenomeno storico che ha visto protagonista quella delusa generazione di sbandati che alla fine degli anni Sessanta del Novecento fecero parte del movimento hippie viaggiando, sopravvivendo sulla strada e sperimentando qualsiasi tipo di droga fino ad entrare in quella sorta di baratro esistenziale dal quale molti, purtroppo, non uscirono vivi. Non che questa narrazione di sapore picaresco, questo tragico diario di viaggio che dalla sua prima pubblicazione ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, non costituisca già oggi, per molti, una sorta di libro di riferimento. Nel 1969, all’indomani di Woodstock, all’ideologia del movimento hippie e al sogno di pace e amore di cui esso si faceva portatore si sta sostituendo l’utilizzo puro e semplice delle droghe pesanti. La passione per i viaggi in Oriente è molto forte. Il resoconto della personale infausta stagione di perduta innocenza vissuta da Duchaussois è rocambolesco. In una sorta di pericolosissimo viaggio “beat” dove non mancano, all’inizio del racconto, in terra libanese, episodi che si riferiscono a un traffico d’armi, alla raccolta dell’hashish e alla prospettiva di enormi guadagni di derivazione illecita (“Perché non moltiplicare per venti, trenta o forse anche di più quello che mi fruttera’ il traffico d’armi, comprando hashish con i miei guadagni direttamente dal produttore per poi rivenderlo al consumatore con meno intermediari possibili?”, è l’interrogativo che Charles pone a se stesso),
l’autore si muove con tutti i mezzi che ha a disposizione: in battello, a piedi e in auto, si sposta da Marsiglia a Beirut, da Istanbul a Bagdad, per arrivare infine a Kathmandu, la capitale del Nepal (e della canapa) circondata dalle montagne dell’Himalaya. Il viaggio, fisico-geografico e di crescita interiore al tempo stesso, assume a volte i connotati di un girone infernale. Scrive l’autore francese: “Adesso sono come un matto vero. Quando mi fermo, ogni ora, per bucarmi, tiro fuori la scatoletta da hashish di ferro, la apro e mi guardo nello specchietto. Ho una faccia da far paura. I capelli sono diventati lunghi come quelli di un vero hippie, la barba, mai tagliata, mi mangia la faccia. Sono di un pallore spaventoso.[…]. Metto la scatoletta su una pietra, retta per bene, inclino il coperchio, mi spoglio. Interamente. Voglio vedere il mio corpo, vedere esattamente a che punto sono. Vedere se è venuto il momento di farmi l’overdose.” Un viaggio davvero insidioso, un memoriale tragico, crudo, vero e palpitante e privo di qualsiasi tentativo di edulcorazione, una confessione spoglia che non si perde in spiegazioni filosofiche o psicoanalitiche, quella di Charles, e un monito, che crediamo almeno in parte involontario, per quanti, ancora troppi oggi, giocano col fuoco delle droghe senza riuscire a risalire la china.
Charles Duchaussois
Flash, il grande viaggio
522 pagg., euro 20, Nutrimenti edizioni, Roma 2021.
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