Lo Zibaldone
Filosofia della gioia
di Francesco Roat
Tempo di squilibri, di contraddizioni e di crisi è il nostro. Per un verso, caratterizzato collettivamente dalle cosiddette passioni fredde ‒ scarsa partecipazione politica, paura/insofferenza (vedi coronavirus e migranti), disinteresse per il prossimo, timore dei coinvolgimenti affettivi ‒ e per l’altro verso, acceso da rabbiosi rancori, manifestazioni irrazionali di rivolta, scoppi improvvisi di violenza: fisica o verbale che sia (oltraggi, aggressioni per futili motivi, femminicidi, odio sui social). Ma al di là di queste ambivalenti/algide passioni, mi sembra di assistere pure a una disaffezione generale nei confronti della realtà ed a un ripiegamento su se stessi che indicano una sorta d’indurimento emozionale o, peggio, una sempre maggior fatica a vivere, a sentirsi soddisfatti della propria esistenza, fin troppo spesso in ansia per le incertezze/precarietà che la caratterizzano.
Che fare allora? Come vincere questa metaforica Gorgone che impietrisce cose e persone, tagliando la testa alla Medusa: “prima che tutto si faccia di pietra”. Rubo questa azzeccata espressione al bel saggio di Isabella Guanzini, Filosofia della gioia, dove l’autrice scrive della improcrastinabile necessità di uscire dallo stallo paralizzante di una sempre più diffusa condizione depressiva come dagli agiti insani dell’aggressività fine a se stessa, per coltivare piuttosto “un campo di relazioni consapevoli, capaci di mobilitare legami vitali”; per disseminare altresì profonde “reti sociali di senso”, specie fra i giovani, molti dei quali risultano contagiati non tanto dal coronavirus quanto: “dalla rassegnazione e dall’anestesia”.
C’è bisogno, insomma, di ritrovare l’élan vital: lo slancio vitale caro a Bergson, allo scopo di rianimare chi si senta in uno stato stagnante/avvilente, dove il futuro si prospetta quale mera ripetizione di un presente opaco, grigio, senza le minime prospettive di mutamento. Partendo da una presa di coscienza, però, ossia quella che l’esistenza non è un meccanismo predeterminato e deterministico, in cui accade solo ciò che deve accadere o, in alternativa, il peggioramento di quanto è già accaduto. Se riusciremo ad esser consapevoli che tutto al mondo è all’insegna del dinamismo, della trasformazione e dell’evoluzione, sarà più facile intraprendere vie/strategie inedite e stimolanti.
Ma veniamo al titolo provocatorio del libro, il quale collega filosofia a gioia e che può suonar strano alle orecchie di molti lettori, inclini semmai ad associare filosofia a teoria, mentre il filosofare ‒ specie oggi, dopo la crisi della metafisica ‒ dovrebbe condurre al fare, orientare la prassi, promuovere uno sguardo nuovo sul mondo, a cui non serve guardare con strumenti ottici obsoleti. Filosofia non come ricerca di una qualche illusoria verità assoluta (cioè ab-soluta: slegata da ogni contesto) bensì capacità di misurarsi con il caos cui sembra ridotto il cosmo, senza la vana speranza di poterlo sistemare una volta per tutte, ma pure senza il fatalismo di ritenerlo impossibile da gestire e quindi migliorare.
Rispetto alla gioia poi ‒ al di là di una concezione narcisistica di tipo edonistico ‒ essa qui si declina come un benessere da raggiungere che sia al contempo collettivo e individuale; nel senso che vera gioia non si dà mai all’interno di un egocentrismo sospettoso, ma risulta autentica quando è apertura, scambio, colloquio, condivisione altruistica. “Scrivere sulla gioia ‒ nota l’autrice ‒ significa cercare di entrare nella tristezza e nella rabbia del presente compiendo un atto di resistenza contro il risentimento, la desolazione e l’incupimento. È un atto di fede nella possibilità di una ripresa materiale e morale della vita comunitaria oltre il sospetto e l’angoscia generati dalla pandemia”.
Il testo avrebbe potuto anche intitolarsi pratica della gioia, perché a esperienza gioiose vuole indirizzarci Isabella Guanzini, che ci invita a considerare l’odierna crisi non come una tragedia ma come ad una possibilità di cambiamento. Cambiamento reale che tuttavia abbisogna di un mutamento concettuale sia rispetto a valori o pseudo-valori, sia rispetto agli obiettivi che vorremmo raggiungere. Se essi sono appena relativi a sempre maggiori possibilità di produzione/consumismo mercantile, di dominio e controllo su cose e persone, la miseria spirituale in cui ci stiamo dibattendo non farà che aumentare. Se il fine che ci muove (che ci dovrebbe muovere) è invece la sia pur graduale e sempre revisionabile realizzazione di un umanesimo integrale, parliamo di una gioia davvero politica: nel senso che non si concepisce possa esistere slegata dalla società tutta.
Ma non basta solo cercare di promuovere un mondo migliore ‒ osserva ancora l’autrice ‒ non basta il semplice darsi da fare, “occorre anche salvarsi da ciò che si fa”. È la distanza cruciale che passa tra l’avere quale scopo il servirsi della vita e la decisione di servire la vita, ritenendola “un dono da condividere”. Allora e forse solo allora è possibile sublimare l’umana passione di realizzarsi in vocazione: nel sentirsi chiamati (vocati) a un compito/itinerario esistenziale che oltrepassa la miope prospettiva egoica, giungendo a trasformare il/ogni desiderio in gratuito “amore del mondo”. Si tratta in definitiva di ex-sistere, di una e-sistenza in grado di uscir fuori dai limiti angusti del sé e che più non bada ai tornaconti e nemmeno ad esaltarsi per le vittorie o umiliarsi per le (inevitabili o sempre probabili) sconfitte. Il problema ovviamente non è quello di non provar mai paure, dubbi o perplessità in merito al proprio agire. “È invece quello di mostrare attraverso la propria vita che è ancora possibile credere nel mondo e dare un senso alle cose”.
Provare gioia comporta così la forza di accogliere serenamente le negatività e le difficoltà che la vita ci pone d’innanzi; implica la capacità di uno stoico amor fati, grazie al quale siamo in grado di resistere alla sofferenza mediante una speranza che non ci faccia cadere nella disperazione.
Isabella Guanzini
Filosofia della gioia. Una cura per le malinconie del presente
Ponte alle Grazie, Milano 2021
pp. 171, euro 14,50
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