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Lo Zibaldone

Esplorare il silenzio

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di Francesco Roat

Il silenzio è esperienza sia individuale che collettiva; però si tratta di un fenomeno non certo di facile definizione/collocazione. Ma esiste poi un solo silenzio – comune a tutti – o vi sono infinite forme di esso, a seconda dei contesti ambientali/culturali e psicofisici in cui tali dissimili modalità sono collocabili? È a partire da queste premesse/problematiche basilari che si snoda il saggio a più voci, giusto intitolato Esplorare il silenzio ‒ una sorta di baedeker utile a orientarsi in quel vasto continente all’insegna della sospensione o assenza di suoni – e scritto da un gruppo pluridisciplinare di studiosi, uniti da una certezza: quella che il silenzio abbia molto da raccontarci. Innanzitutto se lo concepiamo non al negativo ‒ come mancanza di voci o rumori ‒, ma al positivo ‒ come condizione necessaria al dialogo, all’ascolto, alla possibilità stessa di  comunicazione. Di primo acchito ciò può sembrarci un paradosso, ma non è così. Lo sintetizza efficacemente Nicoletta Polla – Mattiot (la curatrice del libro) affermando che: “il silenzio è anche pausa che dà vita alla parola”, permettendo che il discorso non si riduca ad essere mero gettito verbale logorroico/autoreferenziale e consentendo che il/ogni nostro dire non sia monologo asfissiante bensì appunto dialogo. E che il dialogo divenga capacità di ascolto dell’altrui discorso.

Silenzio non è quindi semplice mutismo, non equivale al puro e semplice tacere. Chi sospende la parola lo fa il più delle volte per liberarsi da un troppo pieno acustico, per l’insofferenza nei confronti del chiasso, della chiacchiera fine a se stessa e/o dell’assedio verbale-comunicativo che ci minaccia; ma non soltanto. Tace chi non sa cosa rispondere, chi è timido/insicuro o teme che le proprie parole siano male interpretate o risultino controproducenti, chi è sfiduciato, deluso, stanco, depresso, gravemente infermo, è ben vero; ma questi silenzi imposti, passivi, subiti quasi, non esauriscono la dimensione chiamiamola espressiva del silenzio. C’è infatti chi lo sceglie  volontariamente/provocatoriamente perché lo ritiene valido strumento di relazione autentica, indispensabile stazione riflessiva, modo per alludere all’indicibile e al mistero di cui è intessuto l’esistere.

Si pensi solo al silenzio presente nella musica d’ogni tipo; vuoto di note che ne rappresenta il ritmo, essendo il partner privilegiato del suono; in quanto senza le cosiddette pause musicali non avremmo respiro alcuno e la musica risulterebbe senz’anima. Per non parlare del silenzio come prassi mistica, giacché esso ‒ sottolinea ad esempio Giorgio Ieranò ‒: “appartiene a tutto ciò che è fuori dall’ordinario e a ciò che è trascendente”. Così: “Tutte le grandi scuole mistiche ed esoteriche hanno legato al silenzio il momento cruciale dei loro insegnamenti. Lo ricordano l’importanza delle regole del silenzio presso i pitagorici, oppure l’esibizione silenziosa degli oggetti sacri alle dee Demetra e Kore durante i Misteri eleusini”. Non a caso, del resto, la parola mistica deriva dal verbo greco myein, che si riferisce al chiudere gli occhi/organi dei sensi dinnanzi al mysterion del sacro/divino.

Ancora: “Il silenzio ‒ nota la psicoterapeuta Emanuela Trinci ‒ pare si addica ai bambini che con gli animali e i primitivi hanno in comune l’assenza di parola”. Non per nulla, sempre restando in ambito etimologico, l’infanzia è muta, risulta in-fans: ovvero non sa parlare. Però comunica egualmente, eccome. Inoltre ‒ scrive altresì Trinci ‒: “il silenzio facilita nei bambini la crescita e pertanto la sanità. Il silenzio, parafrasando Winnicot, è l’universale, la cosa naturale”.

Resta ‒ come scrive Massimo Canevacci ‒ che non si danno regole universali del silenzio, in quanto le differenti culture e i diversissimi individui all’interno di ognuna di esse: “esprimono indefinibili multi-versi del silenzio”. In relazione a ciò, la sua percezione (e/o espressione) non appare legata solo all’udito, ma pure alla multi-sensorialità del soggetto. È dunque veramente/estremamente vasto il territorio del silenzio e forse per parecchi di noi ‒ assuefatti ad ogni genere di rumori ‒ abbastanza sconosciuto e fonte talvolta di disagio anziché di quiete. In ogni caso parlare di esso è davvero sempre problematico. In effetti risulta senza dubbio paradossale ogni nostro possibile discorso intorno al silenzio, poiché già dai primi tentativi di illustrarlo o di nominarlo noi lo interrompiamo/violiamo, inquinandolo fin da subito con le nostre parole, anche se mute, anche se scritte.

t

 

AA VV, a cura di Nicoletta Polla – Mattiot

Esplorare il silenzio,

 

Enrico Damiani Editore,  2019

pp. 268, euro 14,00

 

 

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