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Esiste una cultura degli Europei?

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Donald Sassoon, uno dei maggiori storici contemporanei, professore emerito di Storia europea comparata al Queen Mary, University of London, interviene nel dibattito lanciato da Leggere:tutti nel numero di aprile.

di GIANNI ZAGATO

Il suo libro La cultura degli europei esce in Italia a ridosso della crisi economica, nel 2008. Nel corso di quasi un decennio l’identità europea si è progressivamente indebolita e le identità nazionali riprendono spinta. Se lei oggi dovesse aggiungere un nuovo capitolo alla sua analisi così impegnativa e originale, di cosa scriverebbe?

Il tema della cultura l’ho affrontato da un’angolazione precisa, quello della cultura prodotta, da un lato, e consumata, dall’altro, dagli europei. Gli effetti della crisi che ha avuto inizio proprio nel 2008 non erano previsti nella mia ricerca. Ma ritengo di poter dire che non ci sono effetti sostanziali, tanto sulla produzione quanto sul consumo di cultura, che si possano collegare direttamente alla crisi.

Così come del resto avevo dimostrato rispetto alla grande crisi del 1929. Se però dovessi aggiungere qualcosa al libro, riguarderebbe naturalmente la dimensione raggiunta in questo decennio da internet e dai social media. Lì senz’altro ci sono stati degli sviluppi inediti. Lo sviluppo più importante sta nel fatto che oggi sempre più gente ha un accesso diretto alla produzione. E ha meno bisogno che nel passato della mediazione degli istituti commerciali, come ad esempio le case editrici e quelle cinematografiche.

Oggi ciascuno di noi può fare un film quasi a costo zero e veicolarlo poi su internet. Potrà non avere un numero elevato di fruitori e forse la qualità della produzione non risulterà sempre molto elevata. Tuttavia, se penso al fatto che oggi facebook ha un miliardo e mezzo di utenti, è evidente che siamo dinanzi a una novità assoluta, e il tempo ci dirà se è davvero così rilevante come si annuncia. Ma la crisi, a mio parere, qui c’entra poco. C’è viceversa la continuazione di uno sviluppo che nel 2005, quando ho finito di scrivere il libro, non si poteva prevedere con un tale impatto e una tale velocità.

Dunque tanto la produzione quanto il consumo di cultura conoscono nuove direzioni di marcia. Ma sempre la crisi che attanaglia l’Europa, e ne determina un crescente impoverimento sociale, può frenare questa prospettiva?

La gente, è vero, ha meno soldi, a causa della crisi. Ma non mi risulta che ci sia una riduzione, a causa di questo, di produzione e consumo di cultura. Oggi si vendono più libri di dieci anni fa, si vedono più film alla televisione di dieci anni fa, si ascolta più musica, e più facilmente, di dieci anni fa. C’è stato dunque un aumento, non una contrazione, del consumo culturale. Forse c’è un minor tasso di crescita in termini assoluti, ma c’è comunque un tasso di crescita. Allora bisogna fare un altro discorso. Ed è che ci sono almeno due categorie di beni culturali. Uno che riceviamo gratuitamente, e l’altro che per riceverlo dobbiamo pagarlo. Quello che riceviamo gratuitamente, in realtà, non è mai del tutto gratuito. Lo paghiamo, nel modo con cui viene distribuito, attraverso la pubblicità. E la pubblicità, ci può non piacere, ma è ormai da centocinquant’anni uno dei mezzi per diminuire il prezzo dei beni culturali. Mentre nel XIX secolo non si conosceva bene il profilo del consumatore culturale, oggi con le nuove tecnologie questo profilo tende addirittura a personalizzarsi. E una parte non esigua della pubblicità si sta dirigendo verso facebook e gli altri strumenti mediatici.

A scapito di cosa? A scapito dei mezzi più tradizionali, come la stampa. Tant’è che la stampa cartacea è in piena crisi, quella invece su internet in crescita. The Guardian , faccio un esempio del mio paese, ha oggi meno lettori, o meglio vende meno copie del giornale stampato, ma se ci spostiamo su internet ha un milione di visitatori. Questo è dunque il discorso che bisogna fare. Non diminuisce il numero dei consumatori, ma i mezzi di produzione di cultura stanno mutando enormemente, c’è un passaggio rapido, dirompente, tra una forma e l’altra.

Nella sua analisi lei dimostra che l’Europa consuma cultura più di quanto ne produca, importandola per così dire dagli Stati Uniti in larga misura. È una tendenza duratura, oppure la competizione crescente di altri protagonisti sulla scala geopolitica, come ad esempio la Cina, può cambiarne la direzione?

Facendo di mestiere lo storico cerco di evitare, nei limiti del possibile, di proporre previsioni per il futuro. Un po’ perché non so che cosa effettivamente accadrà, un po’ perché non è vero che la storia ci aiuta a prevedere il futuro. Posso però dire che, al momento, a me non sembra che la Cina sia in grado di diffondere i suoi prodotti culturali ad un livello nemmeno lontanamente comparabile con quello degli Stati Uniti. I film cinesi che arrivano oggi in Europa, per fare un esempio, sono di solito di alta qualità. Probabilmente non hanno successi enormi neppure nella stessa Cina.

Si può fare un paragone con la produzione cinematografica degli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’Italia produceva più film di qualsiasi altro paese europeo, ma la grande maggioranza di questi film che proponevano la commedia all’italiana, venivano forse visti in alcuni paesi del Mediterraneo, e non avevano grande successo all’estero. I film italiani, viceversa, che avevano successo nel mondo erano quelli d’élite, erano i film di Rossellini, di Visconti, di Bolognini. La Cina e l’India in questo momento producono più film del resto del mondo, compresi gli Stati Uniti, ma se si parla di cultura popolare bisogna dire che, fin qui, né Cina né India hanno un’influenza paragonabile a quella che continuano ad avere l’America.

C’è da dire poi che non è tuttavia così semplice dare oggi una connotazione nazionale ai prodotti culturali. In realtà, i prodotti culturali più viaggiano e più abbandonano quelle connotazioni nazionali che li hanno prodotti. Oggi ogni prodotto culturale può essere facilmente imitato e adattato. Prendiamo la canzone americana degli anni Quaranta e Cinquanta, il rock and roll. Quando diciamo che è prodotto americano, ci riferiamo al fatto che è nato in un territorio compreso negli Stati Uniti, ma la musica in quanto tale è un miscuglio che risente degli influssi africani, o irlandesi ad esempio. E quando poi viene rilanciata in Europa e adattata ai gusti nazionali (Adriano Celentano in Italia, Johnny Halliday in Francia), è una musica americana certo, ma non è più solo americana, diventa anche qualcos’altro. È così che si alimenta la cultura. Viaggia da un luogo all’altro e acquisisce sempre nuove caratteristiche.

A suo parere stiamo andando verso un superamento della distinzione tra cultura di massa e cultura d’élite?

Non vedo che si stia andando verso un superamento, semmai questa distinzione oggi è ancora più forte. Vorrei dire una cosa che a me preme molto, ed è che questa distinzione non è oggettiva, nessuno può erigersi a giudice supremo e stabilire cosa sia cultura alta e cultura bassa. La distinzione la fanno i ceti intellettuali, che si autoproclamano come parte della cultura elevata. Non tutti i ceti intellettuali, naturalmente, e all’interno di questa stessa élite si alimentano dispute continue, dunque è un fenomeno sempre in movimento. Ma è una distinzione, e una definizione, promossa prima di tutto dalla cultura d’élite.

Se prendiamo un esempio del tipo di cultura completamente diverso del tipo di cultura di cui stiamo parlando, la cucina ad esempio, notiamo che anche qui c’è la distinzione tra alta e bassa cucina. Ma chi definisce una e chi l’altra? Quelli che possono avere accesso ad entrambe. Lo stesso si può dire per la moda, che continuamente cambia. Il discorso è il medesimo se ci riferiamo al romanzo giallo, distinto spesso tra giallo di alta classe e giallo di ramo più basso. A me sembra importante che, dal punto di vista dello storico, si rimanga bene ancorati all’analisi di chi prende le decisioni di definire la cultura di un tipo piuttosto che di un altro. La cultura esiste in quanto tale. Quella alta in genere esiste perché è definita tale dai gruppi alti.

 

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