Lo Zibaldone
Epistolario onirico per un amico caduto
di Luigi Panico
Sono trascorsi quasi quarant’anni dall’efferato assassinio camorristico eppure la vicenda umana e professionale di Giancarlo Siani continua a suscitare interesse e, sotto certi aspetti, addirittura clamore. L’assassinio di un giovane giornalista non ha smesso di toccare il cuore e la mente anche delle nuove generazioni. La vicenda del giovane cronista napoletano tocca anche la cattiva coscienza di un pezzo della società che ha cercato, in tutti questi anni, non tanto di rimuovere il ricordo della sua personalità quanto di costruirsi un alibi per assolversi dalle proprie inadempienze o da vere e proprie colpe e omissioni.
La verità è che Giancarlo ha vissuto la sua breve ma intensa storia personale e professionale in un momento in cui si avvertiva l’esigenza, ma forse sarebbe più esatto dire l’urgenza, di un cambiamento profondo della condizione professionale per quanto riguardava in particolare la funzione e la gestione della ‘società dell’informazione’, concepita come un diritto democratico, espressione di un esercizio di libertà, privo di sotterfugi e imposture. Giancarlo sognava cioè un mondo affrancato da compromessi e giochi di palazzo, consapevole che solo chi ha il coraggio di indagare e portare a galla la verità ha davvero la giustificazione per vidimare il proprio passaporto intellettuale; in questa ricerca di assoluta coerenza e onestà, il giovane cronista spese la sua vita, pagando alla fine un prezzo assurdo e incalcolabile.
Ma il suo è stato per cosi dire un sacrificio utile? Il punto è questo: ciò che è avvenuto “dopo” non rende giustizia alla sua storia, proprio perché sul suo lavoro e sulle sue capacità si sono precipitati in troppi e in massima parte proprio coloro che Giancarlo non amava, ma considerava come un vero ostacolo intellettuale da rimuovere per conseguire l’obiettivo di chi opera nel mondo della comunicazione, vale a dire raccontare la verità senza orpelli e senza fare sconti a nessuno. Abbiamo visto costituirsi viceversa uno scenario all’insegna di un ignobile sciacallaggio, con lo scopo precipuo di usare il suo nome e la sua storia per tornaconti di bottega per niente funzionali alla sua specchiata figura. Non c’è che dire: molti si sono letteralmente gettati sul suo nome senza rendere né onore né giustizia alla sua vicenda e al suo rigore professionale. In questi anni è come se Giancarlo in definitiva fosse stato ucciso più di una volta. È stato così ed è doloroso doverlo ammettere. Nella giostra mediatica scatenatasi all’indomani della sua morte e per tutto il lungo tempo che ormai ci separa dal quel tragico settembre 1985, ognuno ha cercato di portarsi a casa un pezzettto delle sue spoglie, per crearsi a seconda dei casi e forse talvolta perfino involontariamente, un alibi o un lasciapassare gratificante per il proprio curriculum.
Il libro che Gildo De Stefano (“Caro Giancarlo – Lettere a un amico“, IOD Edizioni, Napoli 2023, pagg. 120, 12 €.) dedica alla memoria del compagno scomparso ormai da tanti anni, ma col quale ha percorso un tratto significativo di strada comune, è la connferma di questo triste stato di cose. Ed è questa probabilmente anche la ragione per cui il contributo arriva solo ora. E come se l’autore avesse atteso tanto tempo per dare adito a una speranza cullata a lungo, vale a dire verificare l’esorcizzazione o almeno il superamento di una posizione che il tempo ha viceversa reso stagnante e pervicace; ma ancora non per caso arriva la forma con cui il libro è costruito, vale a dire un epistolario in qualche misura sgomento e immaginario ma nel quale è ipotizzabile – solo ora – colloquiare fraternamente con l’amico, nel momento in cui è possibile ciò e certificare senza ombra di dubbio la delusione per tutto ciò che non si è riusciti a modificare e ottenere, per l’amarezza insopportabiiIe nel pensare che i temi e gli argomenti per i quali Giancarlo si è speso e battuto – e con lui una parte della sua generazione – vengono oggi etichettati definitivamente con la cifra della resa e della sconfitta.
Ed ecco la domanda di fondo: allora Giancarlo è morto per niente? Per una passione inutile? È un interrogativo al tempo stesso spietato e spiazzante. E solo la finzione di una comunicazione pudica ma impossibile, affidata unicamente a un epistolario onirico, può forse tenere ancora accesa una luce, uno spiraglio attraverso cui far filtrare il messaggio e la lezione che quel giovane cronista ci ha lasciato non solo nei suoi scritti ma con la sua umanità.
Gildo De Stefano
Caro Giancarlo
Lettere ad un amico
Edizioni Iod, 2023
pp.148, Euro 15,00

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