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Editoriale

Editoriale. L’estate torna sempre

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di Giuseppe Marchetti Tricamo

Direttore responsabile di Leggere:tutti

“Coraggio, il meglio è passato” direbbe Ennio Flaiano. Il meglio sarebbero questi giorni d’estate nei quali, se non tutti, alcuni di noi hanno fruito di un po’ di relax e scacciato dalla mente i pensieri di sempre. L’estate è finita, potremmo però illuderci, con un po’ di fantasticheria, di prolungarla ancora: ma a cosa servirebbe? Settembre ci richiama alla realtà e noi rispondiamo all’appello. Eccoci a cogliere il mutamento dei colori della natura (capita incredibilmente anche tra i grattacieli di Manhattan con i gialli, i verdi e i rossi del Central Park), il cambiamento dei ritmi della città e a frenare il rischio di capovolgimento del nostro umore.

Arriviamo a questo appuntamento con l’autunno ben predisposti. Ritroviamo la “Roma di marmo e di terracotta, con le cupole delle chiese azzurrine” e con gli “alberi di tanti verdi diversi” (Sandra Petrignani, Addio a Roma, Neri Pozza). Immaginiamo che inizi proprio ora un anno nuovo pieno di promesse. E come sempre ce la metteremo tutta. Il nostro impegno sarà di cittadini responsabili, di italiani che vogliono vedere finalmente sorridere il loro Bel Paese. Anche se abbiamo un presentimento, un presagio vago che qualche delusione ci verrà ancora riservata. Ma cos’altro troveremo adesso che siamo tornati? Ci imbatteremo ancora nei soliti arroganti, nei prevaricatori di sempre che considerano il popolo suddito e trasformano i cittadini in ostaggi? Incapperemo ancora nei disservizi dei trasporti, della sanità, della pubblica amministrazione e nei lacci e laccioli della burocrazia? Saranno stati cancellati gli sprechi del denaro pubblico? Sarà stato reso meno iniquo lo squilibrio fiscale? Le banche avranno rinunciato a vessare i risparmiatori? Marchionne si sarà deciso: continuerà o smetterà di investire in Italia? E i politici che si sono macchiati di miserabili e imbarazzanti reati avranno ricevuto la giusta condanna? Quella che oltre agli elettori compete ai giudici. L’etica pubblica e la giustizia sociale avranno trovato cittadinanza nel nostro Paese? Perché sappiamo che “senza valori si blocca l’ascensore sociale, si contamina la politica e si frena anche lo sviluppo economico e sociale” (Luigi Tivelli, L’Italia dimenticata, Rubbettino). Sarà stata ipotizzata una politica economica realistica? L’Italia avrà recuperato un ruolo credibile nella diplomazia internazionale? Cosa sarà stato fatto per frenare l’espatrio dei marchi del Made in Italy verso la Francia, la Cina, la Turchia, il Qatar e per convincere gli imprenditori a non scegliere la scorciatoia della rendita ma di investire per difendere le aziende? Perché a tutti noi “l’acquisizione di una bella azienda italiana da parte di un gruppo estero ci fa infuriare” (Andrea Guerra, Luxottica, intervista di Sara Bennewitz, la Repubblica, 12 luglio 2013).

Sono questi bisogni, sogni o illusioni? Senza dubbio necessità che riguardano il presente ma si proiettano su un futuro che ci appare, se non nero, grigio e che dopo anni di decrescita ci spaventa un po’. Ci è noto che “parte della popolazione dei paesi sviluppati, per ora scarsa ma in crescita, è in pericolo. Ha difficoltà di accedere ai servizi sanitari e dipende dalla carità per potersi sfamare, vestire o trovare una casa. E il numero dei lavoratori poveri che vivono nella propria auto o in luoghi insalubri non cessa di aumentare. Sono i nostri mezzi a non essere in grado di assicurare la sopravvivenza dell’intera popolazione?” (Jean-Paul Fitoussi, Il teorema del lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale, Einaudi).

Ma la speranza individuale e collettiva è forte. Vorremmo che i fatti potessero smentire Grégoire Delacourt che afferma “è solo nei libri che può cambiare la vita. Solo lì si può cancellare tutto con un tratto di penna” (Le cose che non ho, Salani). Invece “un libro, una penna possono cambiare il mondo”: sono parole di speranza della giovane coraggiosa pachistana Malala Yousafzai che ha consegnato all’Onu una petizione per chiedere che si trovino i fondi per fare avere libri, penne, insegnanti e aule ai bambini allo scopo di garantire l’istruzione primaria universale.

Sì, la nostra aspettativa è ostinata. Speriamo di ritrovare aperte, al ritorno nei nostri luoghi, tutte le librerie che frequentiamo e attivi tutti gli editori con i loro cataloghi ancora più ricchi. Speriamo che finalmente ci si sia resi conto che i beni artistici sono un valore insostituibile, un brand sul quale puntare. Lo ha capito il nuovo sindaco di Roma che ha allontano il traffico mefitico dal Colosseo. Contiamo di trovare funzionanti le biblioteche seppure prive di risorse e di personale. Aperti i musei: alcuni, Brera, le gallerie dell’Accademia di Venezia, Capodimonte e Palazzo Reale di Napoli, riceveranno presto i fondi per i restauri. Sia stato scongiurato l’incremento del 500 per cento, dal 4 al 21, dell’imposta sugli allegati a giornali e riviste: un dramma per la filiera della stampa (editori, distributori, edicolanti) che attraversa un periodo di crisi così pesante da aver provocato la chiusura di aziende di distribuzione e di punti vendita (5mila edicole in cinque anni e migliaia di posti di lavoro).

Tuttavia, anche se l’autunno e l’inverno dovessero essere duri, non dobbiamo smettere di avere fiducia: facciamo nostro (seppure con moderazione) l’ottimismo di Cesare Cremonini quando canta “l’estate torna sempre, torna sempre, torna qui…”.

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