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Editoriale. Come cambia l’editoria?

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Di Giuseppe Marchetti Tricamo

Il libro di carta, al quale siamo affettivamente legati e che sfiora i 560 anni di lusinghiera e onorata carriera, si trova oggi a riflettere sul proprio futuro e a competere con un avversario molto temuto: l’e-book.

Non erano certamente incoraggianti i dati Nielsen di dicembre che registravano un calo di vendite di libri tra il 7 e il 10 per cento e lo sono ancora meno quelli di questo inizio del 2013. Lo ricorda preoccupato il presidente dei librai, Alberto Galla, che parla di un febbraio nero. Gli italiani si dice che siano lettori infedeli e che si facciano influenzare dagli eventi e questa volta sembra che sia stata la campagna elettorale a distrarli dalle pagine scritte. Distratti da quella voglia di cambiamento e crescita che abbiamo auspicato.

In editoria da quando Gutenberg, nella sua piccola officina di Magonza, utilizzò per la prima volta la sua invenzione, la tecnologia di stampa è rimasta pressoché invariata salvo qualche piccola innovazione che ha riguardato l’accuratezza della stampa, ma il prodotto libro rimase sempre “quello di prima”.

Le nuove tecnologie, internet e web 2.0, invece, hanno portato, in editoria e nella comunicazione, molti cambiamenti, con conseguenze non meno importanti della “rivoluzione di Gutenberg”.

Oggi, tuttavia, ogni prudenza va messa da parte di fronte alla diffusione dei nuovi supporti elettronici (oltre che il pc, anche i telefonini di ultima generazione, l’iPad, il Kindle e le varie tavolette) in grado di riprodurre libri in formato elettronico (e-book) e contenuti multimediali.

L’editoria – fra carta e mutazione digitale – sta saggiando il futuro di se stessa.

Oggi il mestiere dell’editore non si esercita più soprattutto col cuore (come asseriva in anni lontani, era il 1949, Arnoldo Mondadori in una lettera al Nobel Salvatore Quasimodo) ma soprattutto con la testa. E gli editori, la testa, devono assolutamente usarla, devono cogliere le infinite potenzialità di internet, impegnare nuove figure professionali in grado di sfruttare le grandi opportunità offerte loro dalle nuove tecnologie. Insomma l’editoria vuol respirare aria nuova.

Gli editori devono sapere che l’e-book è arrivato per restare. Se si osserva il mercato del libro negli Stati Uniti si capisce che il libro digitale non è un fenomeno transitorio. Amazon, Apple e Barnes & Noble sono fortemente impegnati per contendersi la leadership nell’editoria internazionale. Con il digitale è già iniziato il risveglio del settore, afferma Maurizio Costa, amministratore di Mondadori.

Gli editori di libri di carta devono convincersene. L’Italia si allinei agli altri Paesi dell’Europa, dove al libro viene riservata la giusta considerazione. In presenza di un trend di vendite negativo gli editori di carta grandi, medi e piccoli devono mettere da parte comodi alibi e non aspettare che sia una legge a risolvere i loro problemi, devono continuare a caratterizzare la loro presenza sul mercato con la qualità dei progetti editoriali. In particolare i medi e i piccoli editori, che portano una ventata di freschezza in un ambiente saturo di aria viziata, potrebbero mettere a reddito le loro rispettive competenze consorziandosi e creando dei servizi in pool (stampa, marketing, promozione, librerie…).

Se gli editori vogliono difendere i libri stampati su carta devono restituirgli l’antico prestigio. Perché loro, gli editori, hanno una responsabilità nei confronti della società in cui vivono e le devono proporre strumenti utili alla crescita collettiva. Quale che sia il supporto che intendono editare devono “garantire qualità” nei contenuti e nella veste del “prodotto”.

Sappiamo che tutti gli editori stanno tentando di avviare strategie per far fronte al mutare delle abitudini degli italiani: di leggere, di documentarsi, di acquisire informazioni. E questo per non trovarsi impreparati di fronte ai cambiamenti del mercato, che diventerà internazionale e utilizzerà non soltanto l’italiano ma anche altre lingue più diffuse; muterà anche il modo di dare visibilità al libro attraverso i social network (opportunità che molte case editrici hanno già colto).

È necessario, però, porsi il quesito sulle ripercussioni che un passaggio totale dalla tecnologia tipografica a quella digitale produrrebbe su alcuni anelli della filiera editoriale: editori tradizionali, tipografie e librerie tradizionali.

Occorrerà anche vigilare sul quadro normativo perché l’attuale legislazione sul diritto d’autore è figlia della storia e tiene conto della tecnologia in uso nell’epoca in cui è stata varata. Ritengo pertanto che nell’era digitale si debba immaginare un copyright più flessibile, non avulso dai processi culturali, sociali, economici che hanno caratterizzato gli ultimi anni nell’ambito dell’editoria, della comunicazione, di internet.

Oggi, si è creato un flusso di idee, di prodotti, di servizi dai quali selezionare gli elementi più interessanti da rilanciare su propri canali locali o globali. Ma se continuerà a esistere una frattura tra i fautori della proprietà intellettuale in senso restrittivo e i sostenitori della creatività libera non sarà possibile registrare progressi significativi sia per i modelli di business sia per una più ampia circolazione dei saperi.

 

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