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Lo Zibaldone

Edgar Morin: conoscenza, ignoranza, mistero

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di Francesco Roat

Che cosa possiamo davvero conoscere della realtà? È questa la domanda principale che sta alla base del saggio di Edgar Morin intitolato Conoscenza Ignoranza Mistero (Raffaello Cortina Editore). Interrogativo all’interno del quale ne sta celato un altro, ossia: ha ancora senso pensare di poter giungere a verità o certezze incontrovertibili? Il noto intellettuale francese prende subito le distanze da quei filosofi o uomini di scienza che, a suo avviso: “si lasciano illudere da una parola «chiave» che li illumina”, cioè da chi attraverso la ragione (il logos) pensa di poter dissipare definitivamente le tenebre della nostra ignoranza ovvero, etimologicamente, di quanto non sappiamo. Morin si pone piuttosto tra coloro i quali si stupiscono/meravigliano del mondo, senza però pretendere di comprenderlo o di assegnare ad esso un senso.

Questo senza necessariamente cadere nell’irrazionalismo; si tratta semmai di non rigettare tutto “ciò che sfugge alla ragione” e non può essere oggetto di analisi, calcolo o valutazione scientifica. Si pensi solo all’enigma dell’origine dell’universo o al fatto che esso risulta a tutt’oggi in grandissima parte a noi invisibile essendo costituito, ben oltre la materia, dalle cosiddette: materia oscura, energia oscura ed antimateria. Ma non basta. Il problema non sta tanto/soltanto nelle cose non ancora esplorate bensì nella questione cruciale attinente alla conoscenza, che dipende dal cervello, il quale interpreta il mondo recepito attraverso i sensi e ce lo rappresenta indirettamente, potremmo dire. Detto in parole povere: ciò che noi chiamiamo mondo o dati oggettivi è quanto Morin definisce “una realtà umanizzata”, essendo essa ricostruita dalla nostra mente, dal nostro linguaggio, dalla nostra logica, dalla nostra cultura.

Quindi il saggio introduce un’ulteriore domanda: esiste la/una realtà in sé? Già Nietzsche aveva asserito che proprio i fatti non ci sono, ma solo interpretazioni, ponendo l’accento su un punto essenziale: tutto quanto investighiamo, sperimentiamo, deduciamo dipende da come il mondo ci appare. Ed esso si rivela dunque un fenomeno ossia ciò che a noi si manifesta, non ciò che davvero è. Per questo, trattando dei limiti del conoscere, Morin introduce sin dalle prime pagine del suo libro un termine che potrà apparire a molti ambiguo o indigesto: la parola mistero. Mistero in quanto fondamentale inconoscibilità che si staglia di contro ad un conoscere sempre e solo parziale, relativo e probabilistico.

Mistero come sfondo di ineludibile indeterminatezza, ma anche come: “cerimonia profana/sacra in cui le nostre vite giocano e si giocano”. Mistero, infine, rispetto all’evento mirabile della vita apparsa sulla Terra: esistenza ‒ che nessuna teoria può spiegare ‒ destinata a tradursi prima in coscienza: negli animali, e poi in autocoscienza: nell’homo sapiens. Vita che, soprattutto negli esseri umani, appare in discontinuità con la natura per l’autonomia creativa/ intellettiva che ci caratterizza. Vita che vuole permanere e trasmettersi negli individui futuri delle varie specie che la incarnano tramite l’invenzione prodigiosa della riproduzione/figliazione. Vita che è molteplicità ma al contempo individualità, poiché ‒ scrive Morin ‒ “essere soggetto consiste nel situarsi/affermarsi al centro del proprio mondo”; per quanto in parallelo: “soggetto è anche l’attitudine a partecipare a un noi, a un collettivo, a una comunità”.

Saremo pur macchine, come credono i materialisti più disincantati, però macchine non banali o meramente deterministiche (i cui comportamenti sono prevedibili). C’è altresì in noi quello che l’autore definisce un profondo e complesso “sapere” che “costruisce, ripara, rigenera; esso riproduce, anima il nostro essere biologico, e noi lo ignoriamo”, in quanto il nascosto lavorio di organi e cellule esula dalla coscienza. Così torna con ancor maggiore urgenza la domanda d’esordio: che significa e comporta conoscere, se pure le più accreditate teorie scientifiche si basano su “postulati indimostrabili” che vanno accettati a-priori per iniziare qualsivoglia ragionamento?

La conclusione del saggio ci riporta al tema dell’inconoscibilità; infatti anche quando qualcosa ci sembra evidente: “tuttavia le evidenze portano in se stesse grandissimo mistero”. Ed alla fine Morin accenna quasi con tono mistico ad un “vivere poeticamente” che non va in cerca di significati ultimi o di astrazioni/idealizzazioni consolatorie. Come a dire: siamo viandanti privi di stelle fisse all’orizzonte in un avventuroso viaggio senza meta ‒ all’insegna dell’incertezza ‒ che, per quanto spesso doloroso, portiamo avanti non senza momenti di gioia, gratitudine e pienezza esistenziale.

Edgar Morin,

Conoscenza Ignoranza Mistero,

Raffaello Cortina Editore,  2018,

pp. 148, € 13,00

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