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Dio nel silenzio
di Francesco Roat
Purtroppo a tutt’oggi circola ancora un’opinione scorretta: quella che le pratiche meditative siano soltanto espressione della cultura orientale, in ispecie quella buddhista. Mentre esse erano ben presenti sin dall’antichità pure in Occidente, specie in ambito cristiano; si pensi solo agli esercizi ascetici dei cosiddetti padri del deserto o dei monaci medioevali. A tale proposito, per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza delle tradizioni contemplative occidentali, potrebbe risultare utile un attualissimo Manuale di meditazione ‒ scritto da Antonio Gentili e Andrea Schnöller ‒ che è giunto alla sua dodicesima edizione.
L’avvio del testo parte da una presa d’atto incontrovertibile: un po’ ovunque si vanno diffondendo tecniche meditative a cui ci si accosta per svariate motivazioni, fra le quali gli autori evidenziano tre principali esigenze. Allo scopo di: “raggiungere il proprio sé profondo e trarne energie pacificatrice e operose”; al fine di connettersi ad una Totalità a cui partecipa ogni cosa: “dove i contrasti si placano e si esalta la comunione cosmica”; non da ultimo, inoltre, per molti la meta è costituita dall’incontro col Dio delle religioni monoteiste, ad onta della sua ineffabilità.
Svariate sono altresì le condotte/regole meditative, anche se alla fin fine meditare significa/comporta la cessazione di ogni attività ‒ intellettuale, emozionale o legata a questa o a quell’opera ‒ per porsi, silenziosamente ed in quiete, all’ascolto attento (a cuore aperto e non giudicante) nei confronti della propria interiorità, del mondo, dell’esistenza e del mistero da essa rappresentata. Mistero che appunto viene anche detto Dio, Uno, Tutto, natura, energia.
E forse la prima tecnica ideata per consentire un tale atteggiamento all’insegna della più serena magnanimità fu quella di fare attenzione al proprio respiro. Non si tratta di placarlo o modificarlo in alcun modo, bensì di prenderne consapevolezza, di avvertirlo o viverlo. “Secondo la concezione orientale ‒ scrivono i due autori ‒ il respiro è il ponte che unisce il corpo allo spirito ed è come la porta di eccesso alla pratica meditativa”. Ascoltare il respiro (seduti immobili, rilassati, silenti, la schiena eretta, le palpebre calate), senza pretender nulla, volere nulla o rifiutare nulla è già aver iniziato a percorrere il cammino meditativo.
Altra pratica, diffusa sia in Oriente che in Occidente, è la ripetizione di una parola o di una frase significativa (mantra o giaculatoria). Far risuonare in noi la sillaba sacra OM oppure recitare incessantemente la preghiera del Nome seguendo la formula degli esicasti cristiani, ad esempio, consente di aprirci alla dimensione contemplativa, mettendo a tacere il chiacchiericcio interiore. È infatti indispensabile il silenzio, visto non solo quale cessazione discorsiva a livello verbale/mentale (ripetere un mantra non equivale a mero parlare/pensare) ma come disposizione accogliente. Deve tacere l’io, in primo luogo, perché Dio ‒ o lo spirito ‒ possa svelarsi.
Questo privilegiato rientrare in sé, tuttavia, non significa insofferenza rispetto all’altro da sé. Anzi ‒ notano con accenti mistici Gentili e Schnöller ‒: “Conoscendo pienamente se stesso, l’uomo conosce ogni altra cosa, capace come è di penetrare nel cuore di ogni creatura e di insediarsi nella sorgente della vita”. E ancora: “Prendiamo coscienza del nostro mondo interiore. Se affiorano in noi sentimenti negativi, lasciamoli dileguare. Non inquietiamoci della loro presenza o della loro petulanza. Non indaghiamone la ragione; non mettiamoci a discutere con essi. Solo liberiamocene, attraverso un progressivo distacco”.
I due Maestri di meditazione sono peraltro perfettamente consapevoli di quanto non siano per nulla facili le pratiche da loro proposte. La consapevolezza silenziosa ‒ in particolare per i principianti, ma non solo ‒ può generare, negli irrequieti, disagi di vario genere: dalla noia alla frustrazione, dalla sonnolenza al senso di inutilità per quanto cerchiamo di non-fare. Come comportarsi dunque con gli insuccessi meditativi? Non considerandoli mai tali, ma solo esperienze passeggere. E, se la negatività persiste, paradossalmente occorrerà: “calarsi nel proprio disagio, assumerlo fino in fondo! Questo lo priva del suo veleno e ci fa raggiungere un livello più profondo della nostra psiche, dove la causa stessa di tali sofferenze perde il suo potere”.
Resta un interrogativo di fondo da parte dei perplessi e cioè cosa significhi/implichi davvero la cosiddetta consapevolezza meditativa. Non posso che cercar di rispondere con le parole degli autori: “consapevolezza è conoscenza; ma conoscenza nella più totale assenza di calcolo. Osservo, non per trarne profitto, ma semplicemente perché è bello osservare (…) è sentire il mondo che nasce dentro di noi, quando offriamo la nostra attenzione silenziosa al reale”; in altri termini allorché accade il miracolo per cui: “ci accorgiamo di essere ciò che contempliamo”.
Ci sono poi dei consigli da far nostri, se vogliamo divenire degli autentici testimoni di quanto (ci) accade. Operare un corretto distacco (o una salutare presa di distanza) dalle situazioni: siano esse gradevoli o sgradevoli e con cui non bisogna identificarsi: giacché noi siamo altro e oltre rispetto a quanto ci capita di affrontare. Praticare l’accettazione (che non è passività, masochismo o pavida arrendevolezza), specie di fronte alla dura/cruda necessità (ad es. un decesso o un processo irreversibile). Rigettare i pensieri negativi, che nulla mutano ma appena intristiscono, favorendo al contrario una positività mai ingenua o banalmente ottimistica, ma fiduciosa (se non in Dio: in se stessi o nell’esistenza). Sviluppare amore in tutte le sue forme non possessive/manipolative; amore compassionevole quale agape, benevolenza, fratellanza universale.
Lasciamo infine ancora una volta la parola a Gentili e Schnöller:
“Tutto il segreto della meditazione sta nel raggiungere e abitare stabilmente quest’isola misteriosa del silenzio, nell’immobilità del corpo, nella pacificazione della psiche, nella perfetta tranquillità della mente e nell’assoluta ricettività dello spirito. Contempla, direbbero i mistici, nel totale silenzio delle tue facoltà. Un silenzio senza increspature, privo di immagini e di ricordi, senza tensioni o movimenti, nell’assenza di pensieri, proiezioni, attese, desideri”.
Antonio Gentili – Andrea Schnöller, Dio nel silenzio. Manuale di meditazione, Àncora 2023, pp. 358, euro 23,00
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