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Diario di un senza fissa dimora

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Marc Augé esplora l’universo dei senza fissa dimora in un libro che non è un romanzo e  neppure un saggio ma un “etnofiction”.

di Cesira Fenu

Marc Augé, etnologo africanista di fama internazionale, ha applicato il metodo etnologico allo studio delle società complesse. Poste al vaglio dell’etnometodologia la nostra società e le città occidentali sovraffollate, multietniche e multiculturali, hanno rivelato un aspetto inconsueto e più profondo di ciò che emergeva dai soli strumenti della Sociologia. Le discipline socio-antropologiche, d’altro canto sconfinano talvolta l’una nell’altra, sia per il soggetto osservato che per il metodo. Di fronte a situazioni nuove quali mai si erano verificate, ecco quindi l’uso solidale delle varie metodologie di ricerca e l’adozione di una visione stereoscopica, aperta e pronta a cogliere le peculiarità di un oggetto o di un fenomeno.

Scrittore di saggi, tra i quali Un etnologo nel metrò (Elèuthera),  l’Autore, in Diario di un senza fissa dimora (Raffaello Cortina Editore), ha esplorato un fenomeno che col crescere delle città, la crisi economica, la globalizzazione, la crisi della famiglia nucleare, sta interessando la nostra società. Di fronte all’oggetto di studio Augé si immedesima e cerca di registrare, con un diario, giorno per giorno, il dipanarsi della realtà sociale. Egli tratta, come dal titolo, la condizione di un senza fissa dimora. Fenomeno sempre più frequente soprattutto nelle nostre metropoli occidentali, come ad esempio Milano, è rappresentato da persone, in particolare uomini del ceto medio che hanno un buon lavoro ma, in seguito a una separazione, pagando gli alimenti alla moglie e ai figli, non hanno la possibilità di vivere in affitto e spesso finiscono per dormire in auto o per strada. A differenza della classica immagine del clochard, hanno un lavoro ma mancano di punti fermi e il loro vagolare diviene drammatico.

Procedendo inversamente da Levi-Strauss che riteneva che per cogliere nella globalità il fatto sociale totale si dovesse attingere alla visione soggettiva di chi vi partecipa, Augé parte dalla soggettività e individualità per scoprire la totalità del fenomeno. Egli lascia all’immaginazione del lettore farsi un’idea e fa uso della narrazione letteraria per evocare emozioni, incertezza, angosce. Nell’etnofiction si vuole che chi legge scopra dietro le pieghe della narrazione qualcosa che gli faccia approfondire la conoscenza del presente. Il personaggio dell’etnofiction è un testimone e scopre dentro di sé la follia del mondo. Il protagonista, pensionato dell’ufficio del Fisco a Parigi, trovatosi dopo due divorzi a non riuscire più a pagare l’affitto, dopo una vita dignitosa, si trova costretto ad abbandonare la casa, vendere tutto e andare a dormire in auto, una Mercedes. Nella sua dignitosa povertà riesce a crearsi delle abitudini e stabilire rapporti umani con i negozianti della zona e con frequentatori di alcuni locali. Legge, ascolta le notizie, veste impeccabilmente, tiene un diario. Si crea un fragile equilibrio dal quale un minimo cambiamento può farlo precipitare. Tornato a Parigi dopo una breve assenza il flebile filo di rapporti umani che si era creato si spezzerà col sopraggiungere delle ferie. Si troverà nella anomia, pericolosa per l’integrità dell’essere.

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