Poesia
“dentro la o”, Anna Maria Farabbi
Ogni vocale ha la sua ragione esistenziale, è un archetipo che viene analizzato e destrutturato per trarne la significazione più profonda, immanente alla relazione tra il suono, la semiotica e il concetto. “Chi si ferma qui conosce il tuorlo” è la ragione per cui si indaga la realtà di un piccolo manicomio a partire dalla riflessione sulle vocali che consentono l’articolazione linguistica e quella psichica. L’autrice unisce l’essenzialità espressiva alla potenza della meditazione in un linguaggio che arriva dritto all’emozione, passando per l’inevitabile riflessione civica e politica espressa in tratti di prosa poetica e in brevi liriche in cui i vuoti e gli spazi gridano tutta la ferocia e l’incanto del non-detto (“il mio silenzio contadino raccoglie/anche la morte”) attraverso la privazione della punteggiatura e la frammentazione della sintassi. Si assiste alla libera spregiudicatezza espressiva di una poeta nata femmina (“la mia poesia animale pratica gli ordigni/ e la mia resistenza matta la fa cantare”), si esplorano la carne della lingua, la statura della parola e l’orientamento posturale dell’intonazione. La i si insedia nel discorso e nell’inconscio, in tutta la sua “verticalità asciutta” e necessariamente minuscola, per sancire la relatività dell’essere che è anche rispetto e istinto all’empatia universalistica. La a non priva, come vogliono farci credere, bensì crea “apertura, alba, annunciazione” e ci allena alla stupefazione come esercizio politico inconscio. La narrazione delle storie vissute dai pazienti del manicomio è la spiegazione di una lacerazione sociale che riproduce quella personale, in cui immergersi diventa necessario, dovuto, catartico (“io lo voglio più di te per questo mi volto/fatti libera prima di entrarmi”). I continui rimandi all’amore sono l’anello di congiunzione e di interdipendenza tra i soggetti, il linguaggio e la società (“i miei orrori personali e le emorragie di un’umanità autodistruttiva”), nella traslazione di un monologo dell’autrice con se stessa e con il suo essere connessa agli altri: “caro amore mio, quando mi leggerai alla luce del mattino, sarò in manicomio con la mia poesia e con le nuvole di Basho. la poesia attraversa ogni soglia: entra nella polpa dell’orrore trovando la bellezza”. Ecco che nell’atto volontaristico di scrivere lettere minuscole e di ascoltare la statura fonica del pensiero che si fa impulso alla parola, ci si accosta alla più profonda e dolorosa integrazione tra le fragilità delle donne e degli uomini che si rivela essere comune origine universale.
Anna Maria Farabbi
Dentro la o
KE Edizioni, 2021
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