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Lo Zibaldone - Recensioni

Dell’Io prigioniero. Pirandello, Levi, Berto, Sanguineti

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«le celle delle prigioni di questi luoghi senza luogo

né tempo, non hanno finestre, ma alte

aperture cui l’occhio non giunge, o

da cui si mostra soltanto un

indifferente e vuoto

spicchio di cielo»

 

 

Laura Nay ha inserito questo breve brano su una pagina bianca a fine volume. Con poche, ma efficaci pennellate Carlo Levi in Le mille patrie. Uomini, fatti, paesi d’Italia, descrive il vano tentativo di un uomo di guardare al di là del muro della cella dove è rinchiuso, ma non vede altro che un pezzetto di cielo. Cosa rappresenta quel muro? Non è solo un ostacolo fatto di mattoni o pietre, ma definisce anche l’angusto spazio della prigione creata dalle paure di un individuo, dall’ossessione, dalla nevrosi.

L’autrice affronta il tema dell’Io prigioniero attraverso l’approfondita e puntuale analisi di quattro scrittori: Luigi Pirandello, Carlo Levi, Giuseppe Berto e Edoardo Sanguineti, diversi  sia dal punto di vista biografico, sia guardando alle loro opere, ma ognuno ha sperimentato la condizione di prigionia – anche se non sempre coincide con i muri di una cella – e attraverso la scrittura, ha dato voce alle proprie sensazioni e angosce.

Nay chiarisce il concetto di «labirinto», le varie tipologie e i possibili percorsi da compiere. «Quale destino è riservato a questi quattro scrittori e qual è il loro labirinto?» si chiede la studiosa, e ancora: «È una «metafora» per raccontare «una situazione difficile, inestricabile», o piuttosto un «intrico di vie […] che offre al visitatore la scelta fra molte alternative, conducendolo però spesso in vicoli ciechi»?

Laura Nay afferma che «Sono molti i fili che legano Pirandello, Levi, Berto e Sanguineti»: ognuno di loro costruisce il proprio labirinto o cerca di sottrarvisi; tanti i tentativi di evasione, ma talvolta si impone la scelta o la rassegnazione di rimanere prigionieri. Un fil rouge è la riflessione sulla malattia e sulla possibile cura, in particolare quella psicoanalitica di Freud, oltre alle considerazioni sulla contemporaneità, derivanti dal confronto con la realtà».

L’autrice riporta, idealmente, i quattro scrittori nei loro labirinti ed esorta il lettore a seguirli al fine di compiere un viaggio esperienziale insieme ad essi, perché – e lascia la parola a Calvino – «ogni fortezza cela vie diverse che il prigioniero sceglie di percorrere per tentare di evadere, o forse solo per tentare di capire».

Il saggio è suddiviso in quattro sezioni, ognuna introdotta da citazioni dell’autore analizzato o di altri scrittori: tali elementi forniscono al lettore indizi che aiutano a “seguire” ogni autore nel suo labirinto, a compiere con lui il percorso alla scoperta della strada che lo conduce alla libertà o, non riuscendoci, rimane prigioniero del labirinto.

La prima sezione è dedicata a Luigi Pirandello: nella «prigione di se stesso. In Abbasso il pirandellismo, è palese quale sia il labirinto da cui vuole evadere. «Quando voglio arieggiarmi il cervello, leggo Ariosto», scrive Pirandello nel Taccuino segreto; lo scrittore confessa come la nota distintiva del suo carattere sia la “tristezza”, profonda da “far presto esaurir la fonte del suo umorismo”». Nay chiarisce che la chiave di lettura di tali affermazioni emerge dal saggio L’umorismo, dove Pirandello propone un Ariosto che gioca con realtà e illusione, divertendosi a mettere in evidenza quanto siano ingannevoli le illusioni, tanto da causare un forte impatto con la realtà. Orlando è «prigioniero della sua identità e ribelle ad un ruolo che gli sta ormai stretto», una descrizione nella quale Pirandello si identifica: interpreta una parte, assume forme percepite come una trappola in cui si dibatte, si ribella contro la sua fama, lotta per riconquistare la libertà della sua immaginazione di scrittore.

Segue Carlo Levi: «Con il filo bianco o rosso del labirinto o della ragione». Carlo ha vissuto l’esperienza del carcere, a Torino nel 1934, l’anno successivo a Roma. La cella nella quale è richiuso non ha finestre, ma solo un’alta apertura. L’Io è prigioniero dell’implacabile scorrere del tempo: Nay fa notare che «la scansione stessa che Levi ha voluto dare al romanzo rimanda al movimento delle lancette sul quadrante dell’orologio: dodici sono le ore e dodici sono i capitoli del libro» L’Orologio. Osservando la porta della cella, Carlo in Quaderno a cancelli, si chiede dove conducano le porte aperte: rappresentano il momento in cui l’Io liberato, deve vivere nel mondo, per alcuni un momento temuto, per altri fortemente desiderato. Dal 1935 al 1936, Levi è al confino in Lucania, e lì sperimenta una diversa percezione del tempo.

In Quaderno a cancelli, descrive la cecità: un mondo privo di tempo e di spazio, come una notte in cui agli occhi senza vista appaiono frammenti di immagini, residui della memoria che si intrecciano e si aggrovigliano, ma nonostante il buio del labirinto della cecità continua a cercare il filo dei ricordi per uscirne

Giuseppe Berto: la prigione della «Paura di scrivere». La narrazione è dominata dal suo spirito inquieto e dalla tensione morale. La scrittura lascia trasparire angoscia, tormento, disagio, ma soprattutto il buio profondo della nevrosi contro la quale lotta. Il romanzo che lo ha reso celebre, Il male oscuro, è frutto di tale nevrosi. Sulla copertina un labirinto: ovvero il percorso tortuoso che deve affrontare, al fine di liberarsi dalla prigionia della malattia e solo accettandola, si affrancherà da tale schiavitù.

Berto esprime la sua sofferenza psichica attraverso la narrazione articolata in lunghi periodi privi di punteggiatura, costruiti su una sintassi complessa; una catena di pensieri – Nay cita l’autore – «collegati l’uno all’altro», l’obiettivo è la conoscenza dei propri meccanismi interiori attraverso «il discorso associativo».

L’autrice ha colto le molteplici sfaccettature della personalità di Berto, sia come uomo, sia come scrittore: Il male oscuro narra la storia di un uomo che ha esplorato la parte più profonda del suo Io, dove prendono forma le inquietudini. Tuttavia, nelle sue opere non sono mai venute a meno «la felicità del narrare e una vena di romanticismo». Tali le chiavi che hanno reso libero l’Io di Berto: essere scrittore, non più un «Malato scrivente».

Edoardo Sanguineti: nella «labirintina prigione» delle parole. Il labirinto–prigione di Sanguineti ha pareti fatte di parole e lemmi catalogati su migliaia di schede. Secondo Nay ciò che muove Sanguineti «è l’idea che attraverso la raccolta e la catalogazione ossessiva, si possa arrivare a  trovare un ordine nelle cose, o meglio a trovare il bandolo della  matassa che gli consenta di muoversi nel labirinto (non di uscirne però)».

Laura Nay ci ha accompagnati in questo viaggio, alla scoperta di luoghi senza tempo e senza spazio, identificabili con l’Io più intimo di ogni autore, alla ricerca del fil rouge che li unisce, ma non solo: emerge nitida l’immagine di un intricato labirinto in cui un individuo si aggira cercando di attraversarlo e raggiungere l’uscita. Un percorso alla scoperta di se stesso, delle sue paure, delle prigioni e dei labirinti del suo Io. (Laura Musso)

Laura Nay,

Dell’Io prigioniero. Pirandello, Levi, Berto, Sanguineti,

Novara, Interlinea, 2022,

pp.204, € 20,00.

 

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