Saggi
Dante e la relazione con l’altro
Nei primi mesi di quest’anno all’insegna delle celebrazioni dantesche, già molti libri sono stati pubblicati sul poeta italiano per antonomasia. Uno fra i più interessanti m’è parso lo scorrevole ma al contempo puntuale saggio di Filippo La Porta su Dante e la relazione con l’altro – come recita il sottotitolo del testo ‒, non solo per l’originalità tematica ma innanzitutto per via della sua intelligente proposta d’approccio a un classico da non attualizzare forzosamente o (peggio ancora, come spesso purtroppo accade) da trasformare in monumento museale/ideale intorno a cui intessere retorici peana. Sono inoltre d’accordo con il nostro noto critico letterario sul fatto che Dante sia prezioso per noi giusto in quanto distante e quindi, almeno in parte, inafferrabile.
L’accento/intento del libro è rivolto dunque al tema del rapporto con il prossimo nella Divina Commedia; rapporto che suggerisce una: “etica del rispetto dell’integrità dell’altro”, la quale percorre tutta l’opera dantesca, con i giusti distinguo del caso, in quanto La Porta è ben consapevole di come l’Alighieri sia talvolta preso da improvvisi eccessi collerici nei confronti di certi dannati all’inferno: scompostezze che però non inficiano l’atteggiamento compassionevole di fondo del poeta, rivelandone semmai il tratto umano, troppo umano. Certo, vi sono contraddizioni irrisolte in Dante ‒ ad esempio quelle: “tra etica e politica, tra carità e giustizia, tra il farsi pusilli di Francesco e la missione imperiale di Arrigo VII di cacciare gli empi, tra intervento sulla realtà e accettazione della realtà” ‒ ma la sua pietas e il suo sincero amore cristiano per l’umanità dolente restano innegabili.
Condivido altresì con La Porta l’idea che sia possibile cogliere nella Commedia “un paradigma conoscitivo diverso”, per cui (specie nella terza Cantica) la conoscenza dell’altro da sé non si configuri quale esplorazione/gestione invasiva, bensì come accoglienza, apertura e attesa. In questo senso, emblematica appare la contrapposizione fra il vagabondo e trasgressivo Ulisse che vaga per il mondo assetato di sempre nuove esperienze/competenze e l’umile pellegrino Dante che, pur restando immobile, è in grado di attraversare inferno, purgatorio e paradiso grazie alla sua altissima maestria poetico-intuitiva, e grazie alla sua disponibilità ad incontrare la verità dell’altro, dell’oltre o dell’altrove.
Ancora, per meglio focalizzare “l’idea di relazione che sta a cuore a Dante”, La Porta convoca una serie di Beatrici novecentesche: figure femminili ausiliatrici rievocate qui affinché ognuna di loro possa divenire una sorta di guida al lettore che intenda percorrere un pellegrinaggio alla ricerca non già di Dio ma dell’umano e della sua verità, senza alcuna pretesa esaustiva; nella consapevolezza cioè di non poterla mai possedere del tutto. Parlo di figure quali Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano e Hannah Arendt: pensatrici capaci di ispirare un modello di conoscenza non più fondato sul dominio e sulla supponenza autoritaria d’una razionalità illusa di giungere ad una signoria teoretica sul mondo. Conoscere altrimenti, allora, significa in primo luogo disponibilità recettiva, empatia, ascolto mai pregiudiziale, permeabilità e persino vulnerabilità.
Si tratta appunto di prestare attenzione. D’una attenzione non-giudicante e disponibile all’accoglienza dell’alterità. D’uno sguardo disponibile ad avvertire quasi misticamente la meraviglia che accende il cuore d’entusiastico stupore nei confronti dell’universo, della vita e di ogni presenza: animata o inanimata che sia. Allora la cosiddetta realtà può davvero mostrare aspetti inediti, può rivelarsi ricca di senso. Ma, dice bene La Porta: “Per scoprirla occorre mettersi in disparte, lasciare il proprio pensiero permeabile all’oggetto: conoscere non consiste in un’attività ma in una passività che accoglie”. Accettazione non significa però approvazione o giustificazione. È giusto e necessario aprirsi all’altro, come è altrettanto doveroso prendere le distanze dal suo comportamento/pensiero quando non lo si approvi.
Mi sembra sia quello che cerca di fare Dante nelle prime due Cantiche. Egli non giudica i peccatori, anzi in genere cerca di capirli. All’interno della sua concezione religiosa medioevale essi sono già stati giudicati da un’Istanza superiore; non tocca perciò all’uomo farlo. I personaggi che egli incontra non possono più essere aiutati, ma compresi. E forse, come sostiene l’autore di questo saggio, l’imperativo morale più alto non è tanto aiutare il nostro prossimo quanto lasciarlo libero di essere quale egli è. Ed in quest’etica del rispetto altrui sta senz’altro la grande lezione sempre attuale che ognuno può ricavare ‒ oggi come ieri e, si spera, anche domani ‒ dai versi sempre così appassionatamente umani di Dante.
Filippo La Porta
Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro
Salerno Editrice, 2021
pp. 144, euro 16,00
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