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Cronorifugio

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di Francesca Fiorani

Nella clinica del passato di Zurigo, gestita dall’enigmatico Gaustìn, vengono ospitati pazienti dalla memoria sempre più labile, che cercano rifugio in una fase ormai trascorsa della loro vita, ricostruita con accurata minuzia nell’edificio. Ogni piano rievoca, infatti, un decennio del Novecento. Dall’arredamento alla musica trasmessa, fino agli odori, riportati nell’aria attraverso l’utilizzo di una particolare marca di caffè o di sapone, nessun dettaglio è lasciato al caso da chi sa bene che il passato è “pieno di vicoletti, stanze al pianterreno, tagli di stoffa e corridoi”, all’apparenza insignificanti ma in realtà fondamenta della memoria stessa. Questo brillante spunto narrativo apre l’opera di Georgi Gospodinov: definirla un romanzo nel senso più classico del termine sarebbe limitante, dal momento che l’autore mescola continuamente all’intreccio suggestive riflessioni sul tempo, rielaborando un grande tema letterario in modo molto originale. Sono pagine rese ancora più immersive da questa struttura non convenzionale, che richiama un viaggio tortuoso e sorprendente nei meandri del ricordo. Nonostante la tematica, Cronorifugio è un testo estremamente contemporaneo, soprattutto nell’indagare le implicazioni politiche della memoria. Il referendum sul passato, attraverso il quale ogni Paese europeo decide di ritornare ad una determinata epoca della propria storia per sopperire con qualcosa di noto alle incertezze di un futuro senza prospettive, è il simbolo di dinamiche tristemente familiari, in cui “la prima cosa a scomparire quando si perde la memoria è proprio la capacità di immaginare il futuro”. I rimandi alla diffusione di nazionalismi esasperati o a momenti divisivi come la Brexit, mettono a nudo la fragilità di ogni società di fronte alle proprie memorie. “È un bene conoscere anche la storia della propria patria, così puoi lasciarla poco prima che scatti la trappola”: le amare parole del narratore in fuga da una nuova (o vecchia?) dittatura colpiscono il lettore, mostrandogli il volto multiforme, ora rassicurante e poi minaccioso, del tempo passato.

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