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Filosofia

Come fare anima

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di Francesco Roat

Sublime è parola che deriva dal latino sublimis (composta da sub: sotto, e da limen: soglia), indicando dunque ciò che giunge fin sotto la soglia più elevata, ma in una tensione ad oltrepassarla. E fa bene Irina Casali ‒ nella sua introduzione ad un saggio a più voci che raccoglie gli interventi di otto autori intervenuti durante il secondo seminario SAFFO (Sperimentazioni Artistiche Filosofiche Fuori Orbita) ‒ a parlare del sublime come d’un evento che: “testimonia l’oltranza nell’assoluta immanenza” e altresì come indicatore d’una paradossale esperienza del limite e insieme del suo superamento.

Uno dei confini che l’artista, il poeta e il mistico hanno sempre cercato di varcare è infatti quello della mera ratio, delle teorie/categorie concettuali e della discorsività orinaria; in un anelito non già solo all’insegna dell’irrazionalità, quanto semmai dell’a-razionalità: di un esprimersi che vada oltre, altrove e dica altro rispetto a logica, filosofia e/o scienza. Situandosi così agli antipodi del monito wittgensteiniano espresso nell’ultima proposizione del Tractatus logico-philosophicus: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Wovon man nicht sprechen kann, daruber muss man schweigen), osando appunto cercar di dire l’indicibile attraverso immagini, miti, simboli, metafore.

Scrive sempre ‒ e condivisibilmente ‒ la Casali che: “Se l’intelletto disegna il limite, l’anima schiude allo sconfinamento. La persuasione vale per l’intelletto, l’estasi riguarda l’anima”. Però l’estasi (dal greco ek = ex: fuori, e stasis: lo stare) ovvero il potersi porre fuor di sé, cioè oltre l’angustia dell’ego, non comporta un salto nel vuoto bensì l’esperienza della pienezza, l’avvertire o il prender coscienza di un’anteriorità non oggettivabile che rende possibile il reale. Un’anteriorità chiamata anche dio, dynamis, assoluto, relazione, amore (che move il sole e l’altre stelle).

Ma allora abitare la dimensione atopica del sublime comporta una resa al pathos, alla passione e all’altro: inteso sia come persona a cui mi rivolgo, sia come tutto quanto eccede la monade egocentrica dell’io. Ovviamente l’ambito amoroso non si limita certo all’eros ma diviene pure accoglienza agapica, oblativa, generosa, gratuita. Ancora, come non vedere che il fascino del sublime ‒ a detta di Carlo Serra ‒: “sia lo scacco che la ragione ha di fronte all’infinito, quando si trova di fronte a qualcosa di incommensurabilmente grande che la schiaccia”.

Eppure l’avvertire la pochezza del logos, il sentirsi piccola parte di qualcosa di più grande di noi non genera soltanto smarrimento per la vastità immensa dell’essere; il prendere atto dell’unheimlich (del perturbante/inquietante o forse meglio di quanto genera spaesamento) ‒ per dirla con Freud ‒ e l’aprirsi fiducioso ad esso ci permette forse di raggiungere l’estrema realizzazione spirituale auspicabile. Quindi lo: “elevarsi alla soglia più alta” (alla sommità) ‒ ossia all’hypsos/sublime, nota Giuseppe Civitarese ‒ “equivale a diventare sé stessi, a realizzare al massimo l’intensità dell’esistenza”.

Tuttavia ‒ puntualizza Florinda Cambria ‒, se l’effetto del sublime promuove quello che potremmo indicare come “un incremento di conoscenza” o avvicinamento alla “vetta delle verità”, il percorso di una tale ascesi (nel senso propriamente greco del temine askesis: esercizio, da cui la parola italiana deriva), non è verticale/lineare, bensì tortuoso. Soprattutto in quanto la via impervia verso il sublime, specie in età moderna, si caratterizza: “come esperienza di un conflitto tra il conoscibile e il non conoscibile” e come “l’oltranza del limite di ogni conoscenza determinata”. Così l’hypsos diviene per noi ambito di soglia per antonomasia.

Tornando infine alla (a dir poco bella) introduzione della curatrice del testo, non posso che far mio quanto lei osserva sottolineando che: “la vita prende senso nelle forme di oltrepassamento del mero esserci che si schiudono in esperienze di risveglio al sacro”; se con tale vocabolo intendiamo alludere ‒ seguendo la lezione di Mircea Eliade ‒ all’impresa più umana, che consiste nel costruire un mondo che abbia significato. E alla domanda di Irina Casali su cosa si possa mai dire intorno al vero e proprio mistero vibrante fra limite e illimite, visibile e invisibile, dio e uomo, risponderei/ribadirei giusto con lei: “Tutte le metafore dell’amore”.

  1. VV., L’anima e il sublime, a cura di I. Casali, Jaca Book, 2022, pp. 212, euro 20,00

 

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