Lo Zibaldone
Cinzia Della Ciana: “Grumi sciolti”
Dopo una lunga parentesi poetica (Passi sui sassi, 2017 e Ostinato. Suite in versi, 2019) Cinzia Della Ciana, avvocato civilista aretino con una formazione musicale e una passione per la scrittura, torna al suo primo amore, la prosa breve del racconto. Quadri di donne di quadri fu infatti il suo libro di esordio, nel 2014. Poco è cambiato nel suo stile narrativo, bisogna dire, da quei primi racconti: data per ammessa l’equivalenza romanzo – cinema, per Della Ciana infatti il racconto (che, giustamente, non è un romanzo breve) pretende la concentrazione dello scrittore e del lettore su pochi, risolutivi fotogrammi, con un deciso taglio di quanto una narrazione diversamente impostata e più distesa avrebbe mostrato prima e dopo quel “grumo” evenemenziale. Nei suoi racconti infatti, quasi sempre, tutto confluisce in un “buco nero” che dilata solo nel pensiero dei personaggi un tempo narrativo anche lunghissimo, e attrae al contempo dentro di sé, dentro l’analisi del momento risolutivo, tutto il significato di vicende che possono essere le più varie. Racconto dunque come massima concentrazione “fotografica” su un nodo che la vita ha lungamente preparato.
Ma un’esperienza poetica come quella a cui si accennava non passa invano e qualcosa si è invece profondamente evoluto nello stile espositivo della scrittrice. Condizionata anche dai suoi lunghi studi musicali, Della Ciana non ha mai avuto infatti nelle sue corde un linguaggio puramente oggettivo e descrittivo, fin dalle sue prime prose. Ma in questa raccolta l’altro lungo studio, quello della sonorità della parola poetica, si fa sentire, e il linguaggio diventa se possibile ancora più lirico, evocativo, assonante e analogico, in una operazione di alta sartoria verbale che fa sentire alla prefatrice, Letizia Cirillo, come la dimensione in cui queste parole scritte meglio vivrebbero è quella della “lettura a alta voce”. Se il genere letterario del racconto, che pure ha avuto una gloriosa tradizione nel nostro 900, non ha più un grande mercato ai giorni nostri, è forse perché quel mercato è dominato da due tipologie di lettori, assolutamente opposte: quelli che vogliono ogni sera essere accompagnati in un tratto della lunga e riconoscibile strada del romanzo, e quelli che preferiscono la lettura priva di direzioni di occasionali e potenzialmente isolati testi poetici. Ecco che questa raccolta di Della Ciana, per la straordinaria qualità del suo linguaggio, che è poetico senza cessare di essere narrativo, si inserisce in una inattesa via di mezzo, per cui un lettore può seguire il filo delle storie – e anche una loro struttura dispositiva di insieme – ma può anche se lo vuole aprire il libro casualmente, e godere il fascino di una scrittura che anche di per sé, anche separata dal suo compito di “seguire un filo”, non cessa mai di produrre sorprese.
Si diceva – in ultimo – di struttura dispositiva. Nonostante che ogni singolo racconto sia inteso come scavo di un piccolo segmento di vita, e che lo stile dell’autrice trasformi ogni pagina in un quadro poetico, il libro ha una sua solida struttura, sottolineata e chiarita dall’Incipit e dall’Explicit, che formano a loro volta un piccolo racconto, sul modello classico della “cornice”. All’interno le tre sezioni si pongono in una evidente successione di sviluppo: i “Grumi” sono infatti storie, anzi, “fotografie” di donne alle prese con un momento risolutivo che concentra in sé tutto il bisogno e il timore del cambiamento; se poi gli stessi si sciolgono, nei “Grumi sciolti”, appunto, una fantasia improvvisamente liberata può svariare dal mito alla storia alla favola, dove la voce narrante può appartenere, proprio come nelle antiche favole, anche a un topo, e perfino a un profumo. Quando i grumi sono ormai sciolti, diventano “Grani”, e il ciclo si chiude pronto a riaprirsi, in un eterno ideale movimento della materia: una tazzina soccombe alla futilità del mondo, ci si arrende al paradosso, ma una storia d’amore può (forse) ripartire, e i “grumi”, certamente, si riformeranno. L’autrice ce lo promette, isolando in ultimo un “fotogramma” da quel lunghissimo “film” che fu La storia di Elsa Morante, e concludendo quindi con un omaggio a quell’inno alla vita un libro che alla vita, qua sine proposito vaga est, è giustamente dedicato.
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