Lo Zibaldone
Cate sono io: intervista a Matteo Cellini
Parliamo con Matteo Cellini, vincitore del Campiello Opera prima con “Cate, io” per Fazi Editore, la storia di Caterina, diciassettenne obesa che “va a testa alta per il mondo ostile”.
di Christian Soddu (www.westegg.it)
Quando ho saputo che Matteo Cellini col suo Cate, io aveva vinto il premio Campiello Opera Prima, ho pensato a Tender Pervert, il “losco” nom de plume del romanzo che iniziai a leggere un pomeriggio del 2011, pescandolo tra i manoscritti anonimi del concorso gems “Io Scrittore”. Poi conobbi Matteo Cellini negli uffici della Fazi Editore, dove all’epoca ero editor per la narrativa italiana: quel trentenne timido e magro era dunque Caterina, l’obesa Caterina? Chiacchierammo a lungo; la nostra conversazione riparte da lì.
Tutti ti chiedono come abbia fatto a calarti così credibilmente nei panni di una ragazza taglia extralarge…
Questa domanda non me la sono mai posta. Io e Caterina siamo sovrapponibili, non a partire dall’obesità, ma dal disagio che essa le suscita. Che è stato anche mio. Ho usato Caterina come un megafono.
Piace, nella storia di Cate, anche la compromissione con la quotidianità reale degli adolescenti, spesso inquieta.
Le dinamiche adolescenziali di accettazione ed esclusione non hanno geografia, anche se il rituale del diciottesimo compleanno descritto nel romanzo è tipico della provincia. C’è la felice molla della condivisione, sì, ma nel mondo capovolto di Caterina il pensiero della propria festa è davvero una tortura.
Cate si pone sempre in termini antagonistici rispetto alla realtà: in una riuscita immagine del libro, pensa a sé come all’Alsazia e alla Lorena, terre contese, in bilico tra espansione o ridimensionamento.
La verità è che Caterina è una tenera tiranna: il dolore la rende tale, il suo punto di vista è l’unico ammesso. Non c’è oggettività, lei non ci dà alcuna misura, non ci dice quanto pesa. La vera obesità non è mai visibile, ma è quel sentirsi diversa, altra rispetto agli altri, il centro di sguardi subiti e restituiti.
Nel romanzo non c’è niente di scontato, anche se alcuni sono rimasti perplessi di fronte al lieto fine.
Non parlerei di “lieto fine”: dopo l’ultima pagina, per Caterina c’è la vita e non un principe azzurro. E Caterina vivrà, ne sono certo, perché ora è equipaggiata per farlo. Prima no: perfino scoprire come sia serena la vita del fratello, pure lui obeso, è per lei un “tradimento”. Il romanzo racconta il doloroso crollo di questa sua fortezza.
A un certo punto è forte la delusione che Caterina prova per la sua insegnante di italiano. È un invito ad amare i libri e la letteratura, ma a cercare le vere risposte senza sottrarsi alla vita reale?
All’inizio c’è qualcosa di sbagliato nel rapporto di Caterina con i libri, perché lei usa la lettura come una chiave che apra non le sue intime porte ma quelle di un club esclusivo in cui chiudersi. Legge grandi libri, ma non sono ancora i “suoi” libri: quelli arriveranno dopo, anche se non lo vediamo.
Sei stato scoperto tra i partecipanti al concorso “Io Scrittore”. Cosa pensi della proliferazione dei concorsi letterari? Sei anche entrato nella fase finale dello Strega, accanto a nomi come Walter Siti e Aldo Busi.
Credo che concorso sia sempre sinonimo di possibilità, ma partecipare a un concorso non è stata una scelta scontata per me. Non passo nemmeno molto tempo su Internet, non ho un blog né Twitter, soltanto una pagina Facebook dove non mi presento col mio nome, ma con quel nom de plume che tanto ti ha insospettito all’inizio.

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