Lo Zibaldone
Andrea Di Consoli: “Tutte queste voci che mi premono dentro”
Le brevi prose, scritte in momenti vicini e lontani nel tempo e contenute nell’ultima fatica letteraria di Andrea Di Consoli, operano narrazioni di fatti simbolici con la lucidità nostalgica di chi è consapevole dell’irrimediabilità del particolare cronologico e, con generosità affabulatoria, sembra capace di impigliare il flusso del ricordo alla sua grammatica psichica, come avviene tra le sue “un po’ folli battaglie scolastiche, tra surrealismo e brigantaggio”.
In una nota alla fine del testo – concessorio, al lettore, del lusso di non doverne necessariamente seguire la sequenza numerica delle pagine – Di Consoli scrive, quasi come una goliardica ammissione, che è stato Fabrizio Coscia a costringerlo a fare la raccolta di questi suoi scritti rimasti sparpagliati tra la memoria e la dimenticanza. E, in effetti, Tutte queste voci che mi premono dentro è la prima opera della collana “S-confini”, curata da Coscia per l’Editoriale Scientifica di Napoli, con l’intento di rintracciare e pubblicare creazioni letterarie di “non-fiction” che esondino dai generi tradizionali e dalle rigide tassonomie linguistiche e stilistiche per attivare una comunicabilità letteraria pura, diretta, personale e ondivaga, “affamata di realtà” così da poter instaurare con il lettore un flusso dialogico diretto e istintivamente fiduciario.
È ciò che esattamente accade nella lettura delle pagine di Di Consoli, tuffandosi nei suoi racconti sciorinati in un prolifico ordine sfuso, attraversando le descrizioni di se stesso che hanno tutta la postura di un pensiero perennemente (auto)critico e tutta la possente statura dell’umiltà di una continua ricerca del dettaglio esistenziale più sincero:
“mantenevo in vita col mio leggere matto e disordinato una piccola tradizione scapigliata – ormai sul viale del tramonto – di poeti e scrittori meridionali che erano venuti a cercare la fortuna a Roma portandosi addosso la voluttà della sfortuna e il demone della solitudine”.
La capacità di scepsi dell’Autore, sobria e composta benché mai burocratizzata, è forse la nota intellettuale e filosofica, tra le tante degne di attenzione, che emerge con più chiarezza da queste brevi prose e sostanzia, con il lettore, una comunicazione spontanea e sentimentosa attraverso cui le esperienze e i moltissimi personaggi citati vengono rispettosamente ricondotti al minimalismo eccentrico della dimensionalità privata che, proprio perché epurata dalla grandiosità della liturgia mitologica, risulta travolgente e accomunante:
“Una di quelle mattine comprai un libro di poesie di Umberto Saba e, da quel momento, la mia vita cambiò; e cambiò perché anche Umberto Saba aveva avuto difficoltà al ginnasio, a tal punto che si era iscritto per ripiego a una scuola commerciale. Non ero l’unico che aveva fallito la carriera scolastica! Me ne innamorai, e non facevo che leggere le sue poesie sincere, umane, fraterne. Imparai a memoria La capra, e sentivo crescere in me il bisogno di letteratura, di natura, di fratellanza”.
D’altronde è possibile esprimere con credibilità il proprio pensiero critico sui grandi temi esistenziali solo quando il cinismo – immancabile chiave di volta antropologica – si accompagna a una irriducibile propensione al rispetto, al dubbio sul sé, alla percezione ragionevole dell’altro e conduce alla ricerca di una metafisica pacata, quasi austera, che ammanta l’auto-narrazione e l’etero-narrazione di un necessario realismo – a tratti lucidissimo, a tratti incandescente – vissuto e non solo scritto come unica decodifica linguistica e psichica della perdizione umana, di quella volontaria e di quella involontaria. Così si trovano acuminate riflessioni sulla religione (e il “muto Dio dei monoteisti”) che nulla sottraggono o obiettano all’uomo intellettuale e all’uomo che sa che tutto può essere:
“Chiamiamo Dio, forse, quello che non sappiamo – e quel che mai sapremo”, e ancora “Non si tratta, a quest’altezza, di scegliere tra il bene e il male (o, almeno, non si tratta solo di questo); si tratta, più crudelmente, di scegliere tra domande estreme e finte rassicurazioni”, chiosa Di Consoli in una delle tantissime riflessioni incastonate ai suoi viscerali memoir, tra cui non mancano afflati di compassione rabbiosa e di rivendicazione d’una universale fragilità congenita:
“Non mi persuaderò mai di vedere una preghiera disperata disattesa e, al contrario, un’altra esaudita. A Cristo, preferisco Dio; al corpo, l’anima; ai miracoli, la triste sorte comune”.
Nella congerie affollata e fortemente identitaria di nomi, letterati, scrittori tabagisti, giornalisti, scultori, pornostar, gente comune, persone sconosciute, personaggi famosi, vivi e morti che Di Consoli nomina – senza alcun superfluo compiacimento ma con uno spirito di ricerca del dettame ontologico che sancisce il peso specifico della propria umanità -, non può sfuggire la tensione al domandare più che al rispondere (evidente, soprattutto, in brevi locuzioni interrogative in cui ironia e dramma, spesso, coincidono), la vocazione a riesumare il non detto dalle anse ben scavate del linguaggio.
In quanto alla mia sensazione a fine lettura, è stata simile a quando, chiacchierando con Andrea, il suo sguardo si allontana improvvisamente assumendo una inclinazione precisa verso una direzione chiara alla memoria che lo sta trascinando da qualche parte e inizia a raccontare di qualcuno che ha conosciuto e che, in quell’attimo, rivive nella visuale sghemba e implacabile dell’affetto e del ricordo. La stessa visuale che mi si accende, in un inspiegabile impeto intellettuale ed empatico (e nel pieno rispetto della dimensione del dato d’esperienza, privato e invalicabile), ascoltando i suoi racconti, in un caffè romano o tra le bancarelle di libri usati, mentre individuo le mie molte stridenti “voci che premono dentro” nell’immagine evocativa – e mai patetica – di chi non ho mai incontrato se non attraverso la rielaborazione dei suoi ricordi. Similmente accade alla lettura di questo libro, il cui obiettivo è dar luce alle voci sepolte, perfino a quelle di cui nulla si può più sapere.
ANDREA DI CONSOLI
Tutte queste voci che mi premono dentro
Editoriale Scientifica, 2021
pp. 152, euro 13,00
You must be logged in to post a comment Login