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Anche in editoria arriva la certificazione professionale

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A cura di Fabrizio De Priamo –

 

 

Vogliono trasformare il termine “editoriale” da aggettivo in sostantivo. Ma facciamo un passo indietro, di chi stiamo parlando? Del Club degli editoriali (da non confondere col Club degli editori, sulla cui somiglianza certamente hanno giocato), ora associati in Ipermedia. Dichiarano di essere la prima – e forse l’unica – associazione professionale indipendente di operatori della filiera editoriale.A febbraio 2013 il Parlamento ha approvato definitivamente la legge che regolamenta le associazioni professionali, per la quale Ipermedia CDE si è battuta accanto ad altri soggetti prima ditutti il Colap, presso il quale rappresenta i soci editoriali. Questa legge, oltre a indicare con chiarezza diritti e doveri di associazioni e soci (molto importanti quelli relativi ai clienti degli associati, e l’affermazione dell’obbligo di un Codice deontologico), sancisce la nascita formale delle associazioni professionali, quelle cioè che fanno riferimento alle cosiddette attività “non regolamentate” o quelle per cui non sono stati creati Ordini. Lo stato italiano ha stabilito di non dare vita a nuovi Ordini o a ulteriori albi professionali, ma ha accolto l’orientamento europeo di consolidare l’esistenza e il ruolo delle associazioni professionali. Il tema è complesso e non è questo il luogo di addentrarvisi. Ci preme invece mettere a fuoco il ruolo degli “editoriali” e le loro prassi associative. “Siamo nati per colmare un vuoto” ci dice il Presidente dell’associazione, Carlo Pepe. “Quale? Quello creato dalla mancanza di un’associazione che non rappresenti le categorie – come già fanno le associazioni di riferimento per editori, tipografi, cartai ecc – ma i singoli professionisti o dipendenti del mondo editoriale” . Parliamo quindi di tutte le figure che operano nella filiera: editori, redattori, editor, correttori di bozze, ma anche autori, collaboratori di giornali iscritti agli albi dei giornalisti, sceneggiatori teatrali, tutte le nuove figure emerse dal web e legate alla scrittura e alla revisione dei testi, nonché tutte le figure tecniche della filiera (librai, agenti, distributori, tipografi ecc). L’associazione è però aperta anche agli enti, non per rappresentarne istanze dicategoria o di tipo sindacale, ma semplicemente per quello che inerisce ai loro rapporti professionali. Quest’ultimo termine, utilizzato da queste nuove associazioni quasi come un “mantra”, racchiude una serie di cose che è bene esplorare brevemente per avere chiarezza circa ruoli e opportunità. Per “professionale” l’associazione intende un insieme di regole di condotta, deontologie, prassi inerenti alla formazione (la nuova legge 4/13 stabilisce appunto che per gli associati debba essere “permanente”), al tirocinio, all’aggiornamento dei soci e soprattutto alla garanzia che l’associazione deve rappresentare verso i terzi, cioè a dire i clienti dei professionisti o dei dipendenti editoriali associati rispetto ai quali tiene persino aperto uno sportello cui presentare eventuali osservazioni circa il comportamento del professionista. “Lo strumento principe, che qualifica per intero il nostro ruolo è la certificazione editoriale”, ci dice Fabrizio De Priamo, direttore del Centro studi dell’associazione. Cosa è però la certificazione? Anche questo è un tema ampiamente dibattuto negli ultimi anni. Le associazioni professionali praticano la cosiddetta certificazione di parte seconda, che si distingue dalla prima, quella cioè curricolare, e dalla terza, in sostanza fornita dallo stato. La certificazione è un modello di valutazione del percorso del socio, basato sull’analisi – attraverso parametri fissi di tipo scientifico – del suo percorso professionale, della sua formazione e del suo tirocinio, che sono i tre

elementi qualificanti l’identità professionale. Ad ogni socio viene assegnato un punteggio in termini di crediti professionali, accumulando i quali arriva a ricevere attestazioni di competenza e una vera e propria carta di identità professionale.Aldilà di ruoli e prassi delle singole associazioni, ci pare più interessante sottolineare come strumenti o iniziative di questo genere, largamente indicate e caldeggiate da tempo in ambito UE, vadano incoraggiate in quanto possono contribuire ad alcune efficienze di sistema. Avere modo di trovare in tempo reale un buon professionista, valutato secondo criteri oggettivi e trasparenti, consentire di promuoversi avendo come sostegno una validazione del proprio percorso, rendere meno opache alcune prassi di lavoro all’interno della filiera editoriale, ci appaiono già da soli obiettivi meritevoli di attenzione e considerazione.

 

www.clubdeglieditoriali.it

Nella foto: Fabrizio  De Priamo Fabrizio De Priamo, direttore del Centro Studi di Ipermedia Club degli Editoriali.

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