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Lo Zibaldone

Ama ciò che sei: Silvia Tesio

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Silvia Tesio ci rinfresca col brio e la voglia di vivere che la contraddistinguono rispondendo su alcune domande sul suo libro edito da Mondadori nella collana Omnibus “Ama ciò che sei”: la storia di Marta e Andrea, adolescenti fuori dal coro che, crescendo, imparano ad accettarsi.

 

Silvia hai lavorato come copywriter e sceneggiatrice per il teatro e la televisione. Tanta gente, quando si parla di copywriter, annuisce con la testa mostrandosi interessata e partecipe. La verità è che in pochi sanno esattamente che figura professionale sia. Ce lo puoi spiegare?

–       Beh… se è per questo mia nonna per anni è andata a dire in giro con orgoglio che facevo la copriwater da Armando Testa… !!! (ride…)

In pratica scrivevo i testi per gli spot pubblicitari. Hai presente “Polo: il buco con la menta intorno”? Ecco: se fossi stata un genio avrei scritto quello!!!

Ho letto “Ama ciò che sei” tutto d’un fiato, come sono abituata quando una storia è coinvolgente al punto da sentirsi addosso i vizi e le virtù dei personaggi. Un’immedesimazione è possibile solo quando sia il lettore che lo scrittore hanno amato, sofferto e riso: solo se hanno vissuto. Allora si crea un rapporto di comprensione tra lettore e scrittore che permette al lettore di innamorarsi di un testo per ricordarlo per sempre.

Ama ciò che sei è uno di quei libri passionali che ti restano nel sistema circolatorio per un bel po’ di tempo prima di potersi adagiare sul cuore e poter fare una riflessione. Io ho provato a sottolinearne alcuni aspetti.

Marta, attraverso la sua storia narra anche la storia di tutti i personaggi che man mano si incontrano nel romanzo. È la protagonista di “Ama ciò che sei” e si sente inadeguata. Nel posto sbagliato al momento sbagliato con gente, genitori, casa sbagliati. La sua è una vita sbagliata. Incontra Andrea, che vive alpiano di sopra con il quale nasce un rapporto di amicizia intenso. Sono adolescenti e diversi dagli altri: Marta si sente inadatta, Andrea una donna nel corpo di un uomo.

Mi viene in mente Frankenstein, di Mary Shelley dove per la prima volta nel romanzo la tematica del diverso prende forma nel mostro che il protagonista genera. Viene allontanato dagli altri per il suo aspetto repellente. Il mostro, desiderando anch’egli vivere felice, chiede a Frankenstein di creare un’altra creatura femmina simile a lui per poter vivere felice e ritirarsi in sud America lontano da tutti. Il mostronon verrà accontentato e allora deciderà di vendicarsi. Alla fine, il mostro si rammarica di aver causato tanto dolore e si giustifica, dicendo che tutto è stato causato dall’odio immotivato degli uomini per il suo aspetto.

Nel tuo romanzo a pag 40 Andrea scrive sul suo diario: “essere me è come essere un marziano. Fingere di essere qualcuno che non sei senza sapere però come fare a smettere è una tortura”. Nella stessa pagina Marta scrive: “Ero goffa. Questo lo sapevo bene. Grassa dentro, anche se magra fuori…”

Non solo i protagonisti si sentono inadeguati: tutti i personaggi del romanzo lo sono: Bruno morirà di overdose, zia Agata si provoca tagli e bruciature etc.

Adesso ho quattro domande “marzulliane” da farti:

Qual è l’antidoto per poter sconfiggere quella diversità che emargina?

Ah se lo sapessi!!! A parte gli scherzi, credo che la sola via di uscita sia proprio l’accettazione. E molto spesso con quella arriva la consapevolezza che a emarginarci siamo proprio noi stessi.

 

Che differenza c’è tra essere diverso e sentirsi diverso?  

Beh, diciamo che se sei la sola bambina a pesare centoventi chili nel corso di danza classica a cui tua madre ti ha costretto a iscriverti, probabilmente potresti sentirti ragionevolmente a disagio. Diverso è se sei oggettivamente una bella ragazza proporzionata e continui a vomitare apposta perché sei convinta di essere grassa.

 

Sono i comportamenti degli altri (in questo caso il comportamento dei genitori di entrambi i ragazzi) che causano l’emarginazione di un essere umano?

Non credo che nel mio romanzo possiamo parlare di emarginazione. Sono due ragazzi che hanno la percezione che in loro qualcosa canti fuori dal coro. Nel caso di Andrea è oggettivo poiché è certo di essere una femmina capitata nel corpo sbagliato, per Marta il disagio nasce dalla confusione che ha rispetto a se stessa e a ciò che è. È un’adolescente, 

del resto. I genitori hanno le loro colpe ma non possono diventare la scusa per restare bloccati nel passato fino a quarantacinque anni.

Quanto l’autostima dipende dall’amore?

Completamente. Non ho mai creduto a quella cavolata che se amerai te stessa gli altri ti ameranno. O meglio: forse sarà anche vera, ma a me non è mai capitato di conoscere nessuno che avesse un’alta opinione di se, in un contesto in cui viene disistimato da sempre.

 

Marta è arrabbiata con i suoi genitori, che vengono descritti per tutto il romanzo come un personaggi estremamente negativi: egoisti entrambi. Li considera come unici responsabili delle sue sofferenze. Alla fine della storia invece c’è una rivalsa sia della figura materna che di quella paterna. La coppia di genitori, per un enorme problema di comunicazione, ha vissuto una vita triste e arida. Quando finalmente chiariscono i malintesi protratti da una vita, nascerà un nuovo rapporto sia tra loro che con la loro figlia. A pag 147 si legge: “Fin da bambina ho assistito al disfacimento del matrimonio dei miei genitori, partecipando al dolore sordo di mia madre fino a farlo mio. Mi sono sentita in colpa, convinta di essere il loro problema principale.”  E ancora a pag 159:  ”I miei genitori hanno finalmente ricominciato una vita normale, … Papà è sempre papà! Ora che lavoro con lui mi pare ancora più evidente quali sono i suoi limiti, ma anche che è pieno di risorse e quando riesce a non essere sarcastico, cinico o sgarbato è una persona buona e generosa. Impastato di chiari e di scuri, come tutti. Cose di cui mi sarei accorta anche prima, se non fossi stata troppo impegnata a soffrire”.

Una domanda eterna, più che a te a me stessa, ma per fortuna sei tu che devi rispondere e non io: quanto e quando i genitori sono responsabili dei fallimenti dei figli?

Moltissimo. Io credo che fino a circa una decina d’anni i bambini esistano in funzione dei genitori. Senza di loro, del resto, non possono pensare di sopravvivere. Il bisogno di conferme è enorme e se queste conferme non arrivano, poi diventa difficile recuperare una buona opinione di se stessi. Difficile, dico, non impossibile!

Sia Marta che Andrea, a un certo punto, cambiano. Andrea cambia sesso, ambiente. Marta cambia nazione, amicizie. Scappano, fuggono da una situazione di malessere; cambiando, si liberano. A volte, scappare serva a vedere la situazione da lontano e per poter riflettere meglio e poter tornare migliori. Che relazione c’è tra fuga e cambiamento?

 

Dipende. Ci sono fughe che non portano da nessuna parte, figuriamoci a un cambiamento. In realtà la mia personale opinione è che difficilmente un cambiamento possa avvenire in relazione a una fuga. Piuttosto invece affrontare i nostri fantasmi può renderci davvero liberi.

 

 

Alla fine del libro Marta scrive “finalmente siamo libere”. Ci spieghi cosa significa per una persona essere libera secondo te?

Per me, per esempio, essere libera significa smettere di sentirmi sbagliata o in colpa quando il mio modo di mettermi in relazione non è funzionale al desiderio altrui.

 

Due parole sul tuo stile, che è incalzante e veloce come piace a me: ogni parola ti catapulta un salto più in là rispetto a quello che stai pensando e resta dentro una quantità di immagini che scorrono come in un film. Anche io non sopporto le descrizioni lunghe e particolareggiate, quando con un’immagine puoi mostrare al lettore tutta la scena. Non faccio alcuna domanda perché ogni scrittore scrive come gli viene, e il suo stile è la somma di tutte le esperienze sia didattiche che emozionali che ha vissuto. Invece ti chiedo: quali sono le persone che ti hanno illuminato durante la stesura di questo libro?

Onestamente non credo di avere una risposta a questa domanda. Credo però che tutte le persone che mi sono rimaste dentro nel corso degli anni, in qualche modo facciano capolino in tutti i miei libri. Penso ai miei nonni, per esempio… ogni volta che penso al nonno Enrico e realizzo che non posso correre ad abbracciarlo mi sento soffocare. Poi leggo uno dei miei libri e mi accorgo che senza di lui questa o quella parte non l’avrei potuta scrivere.

Laura Orsolini

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