Lo Zibaldone
Altre memorie, altri sottosuoli: il mondo oscuro di Carolina Invernizio
Giornalista per l’Opinione Nazionale di Firenze e per la Gazzetta di Torino, collaboratrice alla Stampa, al Popolo, al Fieramosca di Firenze, Carolina Invernizio divenne celebre per aver diffuso in Italia la lettura dei romanzi d’appendice o feuilleton, avendo scritto ben 123 romanzi. I temi ricorrenti e ripetitivi sono sempre delitti, tradimenti, vendette, ritorsioni, amori folli e folli gelosie, odio e terrore per le sepolture di persone ancora vive, in catalessi. Descrivendo l’eterna battaglia tra il Bene e il Male, ma parteggiando con evidenza per il Male, i romanzi cosiddetti storico-sociali, vennero messi all’Indice da parte del Vaticano. Nata a Voghera il 28 marzo 1858 (ma negli archivi comunali la data è il 1851), Carolina rischiò di essere espulsa dall’Istituto Tecnico Magistrale di Firenze, che frequentava insieme alle tre sorelle, per il suo primo racconto dal titolo emblematico “Amore e Morte”, scritto a quindici anni. Nel 1876 pubblicò a Milano con l’editore Barbini la novella d’esordio dal titolo “Un autore drammatico”. Seguì nel 1877 con l’editore Salani, che le dedicherà un’intera collana “I romanzi di Carolina Invernizio: romanzi sorico-sociali”, il primo libro “Rina o l’Angelo delle Alpi”. Dopo il matrimonio, nel 1881 abitò – con il marito, il tenente dei bersaglieri Marcello Quinterno – proprio di fronte alla Tipografia Salani, ma nel 1896 fece ritorno a Torino, ove condusse una vita ritirata (si narra che si recasse tutte le settimane a pregare la Madonna del Santuario della Consolata). Moglie esemplare e madre perfetta dell’unica figlia Marcella. Nel 1914 si trasferì con la famiglia a Cuneo e qui, due anni dopo, morì a causa di una forte polmonite. La sua ossessione per le morti apparenti, i cosiddetti sepolti vivi, tema ricorrente nei suoi due romanzi più famosi “Sepolta viva” e “Il bacio di una morta”, fu così intensa che nel testamento olografo, redatto nel 1903, chiese al marito di essere sepolta solo dopo il quarto giorno dalla sua morte e di non esporre in pubblico il suo cadavere. Non mancano, ad esempio ne “Il bacio di una morta”, i richiami a notizie d’attualità su veri ritrovamenti di persone sepolte vive. Il piacere del gusto orrorifico e dello stile alla Edgar Allan Poe emerge già nei titoli dei suoi libri, ma le descrizioni, in particolare quelle dei cimiteri, rendono al meglio il piacere provato dalla scrittrice nel perfezionare una scrittura via via sempre più macabra, funerea, terrorifica, tra lapidi e addetti ai cimiteri profanatori di tombe, veleni e pozioni e addirittura streghe e megere esotiche, la Neirassa del libro “Sepolta viva”. Il perdono e la successiva redenzione dei colpevoli, protagonisti assoluti dei romanzi, si inseriscono sullo sfondo e hanno un rilievo secondario. Lo stile fu volutamente semplice per poter avvincere anche le classi meno acculturate, mentre il carattere storico-sociale è dato soprattutto dalle ampie descrizioni dei personaggi e degli ambienti. Alla baronessa Giulia Costanzi, protagonista negativa del romanzo “Sepolta viva”, una sorta di Medea moderna che non esita ad avvelenare lentamente la figlia di sedici anni Maria e che viene descritta di bellezza straordinaria, ma di natura violenta e appassionata, fa da contrappunto il marito assassino di Clara, sepolta viva nel “Bacio di una morta”, che solo l’amore incondizionato del fratello Alfonso e della bellissima cognata Ines, potrà salvare. Così viene descritto il cimitero “il solenne silenzio che regna in quel luogo, sacro al riposo dei morti, i grandi alberi, le croci mortuarie, tutto è propizio alle più folli e deliranti visioni. Là è la morte: davanti, di dietro, al nostro fianco, sotto i nostri passi, sotto l’erba che calpestiamo; è impossibile sottrarsi al suo pensiero. Anche l’uomo più forte, più scettico trema, si sente il cuore stretto da una gelida pressione. I monumenti assumono ai nostri occhi un aspetto strano, fantastico, bizzarro; ombre vaghe, sfumate, sembrano librarsi dinanzi a noi, fra le tombe, nell’aria; un sudore freddo scorre per tutto il corpo, le labbra diventano mute.” La bara, che si trova depositata nella cappella in attesa della sepoltura, viene scoperchiata e Clara, esattamente come Maria nel libro “Sepolta viva”, sembra viva, la sua bellezza è rimasta intatta. In entrambi i romanzi, dalle trame molto somiglianti, è la passione amorosa la forza scatenatrice dei tentati omicidi. La contessa avvelenerà marito e figlia, con la complicità della perfida serva Rosalia per poter amare Fernando, “di una passione selvaggia”, mentre nel “Bacio di una morte” è il marito che fuggirà con l’amante e la figlia a Parigi, dopo aver anch’egli avvelenato la moglie. Non mancano i colpi di scena come il rapimento di Guelfo di pochi mesi, fratellastro di Maria e i cavalli imbizzarriti che porranno fine alla vita della pentita baronessa. Nonostante l’enorme successo dell’epoca, con traduzioni all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in America latina e, nonostante le trasposizioni cinematografiche a partire dal cinema muto del 1916-1918, fino ad arrivare al 1974 con una nuova edizione del film “Il bacio di una morta”, Carolina Invernizio fu duramente criticata al limite dell’insulto personale. Antonio Gramsci la definì “l’onesta gallina della letteratura popolare”, “Carolina di servizio” per il successo dei suoi romanzi tra le domestiche, mentre alle ragazze “perbene” era ovviamente vietata la lettura di temi così “diabolici”. Bruno Cassianelli, socialista, redattore del settimanale Avanguardia, la soprannominò “Conigliesca creatrice di mondi” perversi”. Concluse la sua carriera letteraria con “La fidanzata del bersagliere”, scritto alla vigilia della morte, nel corso della prima guerra mondiale, ispirandosi alla vicenda di Luigia Ciappi, maestra elementare a Montevarchi, ma nativa di Firenze, che nei giorni della chiamata alle armi decisa dal Governo Salandra, si arruolò travestita da uomo, ma ben presto a Bologna fu scoperta e rimandata a casa. A Cuneo, sulla casa dove visse con la famiglia, è collocata questa targa: “In questa casa Carolina Invernizio il 27 novembre 1916 chiuse l’operosa esistenza fra il signorile salotto e i romanzeschi fantasmi”. Interessanti sono i più recenti articoli di critica letteraria: tra chi la dipinge come “moderna inventrice di inferni”, e chi, come i giornalisti de La Stampa, le riconoscono, a cent’anni dalla morte (articolo pubblicato il 28 novembre 2016) “una sorprendente modernità nel metterci in guardia dalle insidie della bontà e dell’ottimismo”. La cosa più straordinaria dei suoi romanzi è comunque la sostituzione del protagonista maschile, sorta di “deus ex machina” che risolve le situazioni, volgendole in positivo, con una società di donne. Hanno scritto infatti che “I nodi drammatici delle sue storie di rado sono sciolti dagli uomini. Più spesso le donne, benché con complicate e inverosimili situazioni familiari, si uniscono in una sorta di federazione provvisoria, per riportare le situazioni alla normalità”.
Carolina Invernizio
Sepolta viva, Yume, 2017
pp. 366, euro 15,00
Il bacio di una morta, Yume, 2017
pp.237, euro 15,00

You must be logged in to post a comment Login