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Reportage

Alla Sinagoga di Reggio Emilia

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di ALESSANDRA SOFISTI

La 22esima edizione della Giornata europea della cultura ebraica è stata organizzata quest’anno in 108 località italiane. Il 10 ottobre a Reggio Emilia, nell’antica Sinagoga, fondata nel 1544, all’interno del Ghetto in via dell’Aquila, le Comunità ebraiche di Reggio e Modena, il Comune di Reggio Emilia, l’Istoreco hanno organizzato una conversazione a più voci con il rabbino capo Beniamino Goldstein. Il tema scelto era “Il dialogo come metodo di studio.” Dopo i saluti di rito, l’Assessore Lanfranco De Franco ha ricordato come la cultura ebraica sia penetrata nella società reggiana a partire dalle tradizioni gastronomiche come le chizze, la spongata e persino l’erbazzone e come la classe dirigente cittadina sin dall’800 fosse ebrea. Ha ricordato in particolare alcuni membri della famiglia Levi, che hanno ricoperto alte cariche pubbliche durante il Regno d’Italia e fatto costruire con risorse proprie l’acquedotto cittadino. Se all’inizio del ‘900 gli Ebrei a Reggio erano circa 1000, nel 1925 si erano ridotti già a poche centinaia.

Il rabbino capo Goldstein introduce subito l’argomento scelto per celebrare la Giornata Europea della cultura ebraica 2021: il dialogo e mette in relazione la parola di grande fascino e prestigio con un altro termine che sembra però connotato negativamente: discussione. Per il relatore in realtà il dialogo che si svolge tramite accesa discussione è molto più creativo ed interessante e porta a veri approfondimenti, a differenza dei dialoghi dove tutti sono concordi. Per confermare la sua tesi Goldstein prende in esame alcuni brani dal libro La montagna incantata di Thomas Mann, Premio Nobel per la letteratura, ed in particolare la discussione tra opposte visioni della vita, quella razionalista, umanista e volta al progresso di Ludovico Settembrini, allievo del Carducci a Bologna e quella religiosa, spirituale e tradizionale di Leo Naphta. È la natura dialogante, l'”incrocio delle lame delle idee” – prosegue Goldstein – a generare il dialogo costruttivo in una sorta di vero e proprio duello delle parole tra i due protagonisti: Settembrini e Naphta, a rappresentare le due anime dell’Europa del ‘900. Un altro esempio è tratto dai racconti del grande scrittore yiddish Chaim Grade, nato a Vilnius, morto a New York, che in un racconto, durante una discussione molto accesa fa dire al personaggio del rabbino, sopravvissuto ai campi di sterminio, che “i Gentili hanno grandi idee, costruite da grandi pensatori, ma che non sono state messe in pratica e che per questo motivo hanno portato solo a grandi fallimenti. Si sono fermati alle belle parole.” L’ultimo dialogo che Goldstein presenta per arrivare alla sua tesi è uno scambio realmente accaduto in Israele il 20 ottobre 1952 tra il primo ministro Ben Gurion e un grande maestro talmudico. Il partito di Ben Gurion era socialista, laico, guidava il paese e voleva creare un uomo nuovo, che non avesse paura dei Gentili e che potesse difendersi da solo. Con 45 seggi e 15 della sinistra radicale, Gurion poteva contare su una maggioranza quasi totale. La minoranza era composta invece dai reduci dei campi di sterminio, ancorati saldamente alla religione, che avevano ottenuto 3 seggi. La domanda era: come potevano coabitare le due anime insieme? Quella dell’ebreo osservante con quella dell’ebreo laico e socialista? Il dilemma venne risolto grazie ad una metafora presa dal Talmud.

Per concludere il suo intervento Goldstein legge ai presenti l’articolo di Paolo Rumiz di Trieste, pubblicato il 2 aprile 2006 su Repubblica: un reportage della sua visita alla Città del Libro, Kiriat Sefer, vicino Ramallah, e alle sue numerose scuole talmudiche, le Yeshivah. Nelle aule accademiche da lui visitate il silenzio non trova posto, coppie di studiosi dibattono l’interpretazione dei passi del Talmud, per vedere chi riesce a spiegare meglio il testo. Rumiz parla di “libri che dialogano” e dell’invisibilità del visitatore, che si stupisce nel notare chi dorme, chi canta, chi prega. La Yeshivah non è l’aula delle nostre Università, non corrisponde alle nostre silenziose biblioteche, non è una Sinagoga, è un posto – afferma Rumiz – dove “i libri parlano”. Per Goldstein la conclusione è la seguente: si può arrivare a risultati concreti di approfondimento solo attraverso il “metodo talmudico” del dialogo/discussione.

Segnalo ai lettori di Leggere:tutti, da non perdere, a Bologna al Museo Ebraico,  la  mostra dedicata a Emanuele Luzzati, inaugurata il 10 ottobre,  aperta sino al 9 gennaio 2022.

 

 

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