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Lo Zibaldone

Alla riscoperta di Cusano

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di Francesco Roat

Nicola ‒ o Niccolò ‒ Cusano (1401-1464): cardinale, teologo, filosofo e financo scienziato rappresenta, ad avviso di molteplici studiosi, la figura intellettuale più compiuta del XV secolo. Soprattutto nel Novecento, numerosissimi saggi critici sono stati scritti su di lui, talvolta più o meno retoricamente intesi a sottolineare la mai venuta meno attualità di questo classico, considerato un precursore di Kant e di Hegel, nonché persino delle disincantate inquietudini filosofiche postmoderne. Certo è che Cusano storicamente si colloca nel cruciale ambito di transito fra medioevo ed età moderna; in un periodo di crisi dunque, etimologicamente intesa giusto come urgenza di discernimento, che nel Nostro assume i tratti del tentativo di realizzare una sintesi della sapienza medioevale e, in parallelo, quello di suggerire una nuova ottica/visione prospettica con cui guardare al mondo, all’io e ad una verità che mai riusciamo (e riusciremo) a possedere o dimostrare, ma alla quale da sempre apparteniamo.

Marco Maurizi, nel suo ultimo/brillante saggio sul pensiero di Cusano ‒ intitolato provocatoriamente: La quadratura del nulla ‒, sottolinea tuttavia la perenne inattualità del cardinale, nemico di ogni dogmatismo e quindi dislocato rispetto al suo tempo, ma inattuale anche oggi, proprio a causa della peculiarissima nozione di verità a cui egli fa costante riferimento. Nella consapevolezza di come il pensiero-intellezione e la cosiddetta realtà ‒ dice bene Maurizi ‒: “non si danno se non nella forma di una molteplicità abissale”, in quanto il mondo: “è il luogo di una continua produzione di alterità, irriducibile ad ogni unità”; ne consegue che, rispetto ad esso, il filosofo deve abdicare ad ogni velleità di spiegare o forse meglio piegare il pensato entro qualsivoglia paradigma rigido/stabile, irrefutabile, esaustivo.

Come osare allora di riproporre un concetto quale la verità? Forse Cusano risponderebbe che essa non è appunto un concetto, non può essere razionalizzata attraverso il logos, in cui essa pur abita. Verità quale coincidentia oppositorum, semmai, sorta di linea di fuga o punto prospettico ‒ nota con felici metafore Maurizi ‒ che sfugge di continuo alle prese (e alle pretese) dell’intelletto come peraltro dell’intuizione. Una verità, ancora, che a noi si mostra, paradossalmente ma non troppo, quale altro-da-sé, come ineliminabile congettura o interpretazione. Questo non comporta però che le nostre interpretazioni siano da considerarsi relative nel senso nichilistico del termine.

Esse rappresentano piuttosto una sorta di movimento del pensiero; dinamica che implica la possibilità stessa del darsi di esso, la quale – potremmo dire – lo precede, e lo invera anche grazie ad una mai statica oggettività irriducibile al soggetto; e ciò proprio in quanto per noi essa si dà soltanto tramite infinite prospettive. Resta che l’in-sé del mondo, al pari della sua origine, ci è senz’altro precluso. Così, sembra si possa affermare che, per Cusano, tanto la realtà quanto la mente che la indaga siano processi innescati (o resi possibili) a partire da un ineffabile quid generativo. Si dirà che quest’ultimo per il cardinale ha un nome preciso: Dio, ovvero l’Uno, raffigurabile eckhartianamente (per inciso: solo grazie a Cusano ed alla sua biblioteca gran parte delle opere latine di Meister Eckhart sono state tramandate ai posteri) come un super-esse, una pienezza originaria davvero umanamente indicibile/incomprensibile.

Si obietterà: questa è mistica, non filosofia. E senza alcun dubbio la riflessione del Nostro è debitrice del neo-platonismo, della teologia negativa o apofatica e del misticismo inteso come affidamento-fede in quel mysterium d’innanzi al quale è opportuno tacere (myein) e al contempo sul quale è bene formulare almeno una constatazione (ma non paia cosa da poco): cioè che esso eccede ogni discorso, ma soprattutto che lo permette, lo genera, ne consente le articolazioni. Come a dire: c’era già, sin dalla genesi, un logos nel mondo, ben prima che si iniziasse ad articolare un qualunque discorso, ben prima che noi cogliessimo, del/nel mondo, la molteplicità e/o la differenza tra l’io e l’altro da sé. A prescindere dal ribadire la sua credenza nella creazione da parte di Dio, allora, condivido con Maurizi l’opinione per cui Cusano sia molto interessato a mostrare: “come il movimento attraverso il quale gli enti si affacciano all’essere, cioè fuoriescono dall’inesistenza per essere posti nell’esistenza, coincida con il loro differenziarsi, con il loro costituire un ordine sistematico a partire dalle reciproche differenze”.

Il conatus, l’impegno di Cusano è pertanto quello del pensiero che sporgendosi oltre i limiti stessi del pensare ricerca la propria genesi. La quale – sono le precise parole del Nostro ‒: è congiuntamente tutto e il nulla di tutto; essa altresì: precede il nulla e il poter esser fatto. Conclude quindi Maurizi, accennando a tale abisso in cui il pensiero trova insieme fondamento e sfondamento (Grund e Abgrund, direbbe Heidegger), come sia però soltanto dalla perimetrazione del nostro nulla che l’uomo: “emerge come libero e capace di autodeterminarsi”. E inoltre di rinvenire un senso, sia pure umano, troppo umano, alla sua peregrinazione esistenziale.

Marco Maurizi, La quadratura del nulla. Nicola Cusano e la generazione del significato, Jaca Book 2021, pp. 176, euro 20,00

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