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Storia

Acqua alta

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di Federico Mussano

Quando vediamo la picca in araldica ne vediamo rappresentato solo il ferro, la parte tagliente posta in cima, e non possiamo apprezzarne l’intera lunghezza ma lunga una picca lo era veramente per cui leggere, nell’italiano antico del XVI secolo ripreso dal Gasparoni nel 1865, che «in Borgo era lacqua alta piu duna picca» fa veramente effetto. Siamo nel 1530 in una Roma che non si è ancora ripresa dalle ferite del sacco di Roma avvenuto solo tre anni prima. I Lanzichenecchi hanno fatto strage di uomini e razzie di cose, nelle case come nelle chiese: adesso l’acqua alta dell’alluvione invade le abitazioni e i luoghi di culto, «glialtari et oratorii sono roinati quasi tutti».  Proprio quelle chiese dove il popolo vorrebbe andare a pregare Dio affinché il tremendo flagello cessi, invocando il perdono divino per non aver dato retta a quella monaca di «santitate preclarissima» che da «spirito prophetico alluminata» da due mesi andava dicendo, sciogliendo la sua lingua da sapientissima Sibilla, che sarebbe giunto il diluvio.

Al giorno d’oggi quando notiamo (su chiese e palazzi, in piazze e vie) quelle lapidi che a un certo punto mostrano una linea continua orizzontale registriamo con sorpresa quanto potesse arrivare in alto l’acqua di un Tevere non contenuto da muraglioni: non occorre conoscere il latino o il latino epigrafico, basta pensare a quanto dobbiamo piegare la testa verso l’alto per scorgere la linea testimonianza del livello raggiunto dall’acqua. In una delle numerose appendici apposte da Benvenuto Gasparoni leggiamo anche di altre tragiche alluvioni avvenute nel Cinquecento a Roma, ad esempio quella del 23 dicembre 1598 che portò buona parte dei romani a trascorrere un tragico Natale tra perdite di vite umane, perdite di arcate (il ponte di Santa Maria? distrutto) e «notabil danno di Bacco» per le vigne distrutte e le cantine allagate.

Venne poi a Roma (e qui si conclude l’ultima appendice del Gasparoni e quindi il libro intero) Jacopo de’ Patti «huomo molto scientiato, et tenuto rarissimo nel garbo del motteggiare». Eccome se motteggiò il gentiluomo messinese: disse che per lui i Romani dovevano sperare che il Tevere fosse sempre ammalato perché se esce dal letto fa un gran danno.

 

Benvenuto Gasparoni

Diluvio di Roma che fu a 7 d’Ottobre 1530

Edizioni Kirke, 2014

pp. 80, euro 10,00

 

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