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Cinema

Anna Magnani, la nostra diva più grande

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Cinquant’anni senza Anna Magnani, quest’anno il 26 settembre. Eppure sembra impossibile che non ci sia più, per quanto è citata, ad esempio per una frase sull’importanza delle rughe, e per i suoi film, taluni divenuti cult. Visti e rivisti, che hanno fatto di lei un’icona intramontabile e presente, come tutti i miti. Marylin Monroe, James Dean, Elvis Presley.. e perché no? Anna Magnani, anche se non è morta giovane e, per l’appunto, non ha lasciato un cadavere bello da vedere. Ma ha lasciato un’eredità fatta di passionalità, impegno, indiscutibile talento e magari brutto carattere, ma carattere. I set cinematografici odierni, anche inconsapevolmente, risuonano del suo divismo. Come anche il libro appena arrivato nelle librerie della giornalista e scrittrice Patrizia Carrano: Tutto su Anna. La spettacolare vita della Magnani (Vallecchi Firenze), con introduzione di Federico Fellini. Una biografia perfetta, inappuntabile, che si legge come il più avvincente e vivido dei romanzi.

  • Anna Magnani è stata una grandissima interpete del nostro migliore cinema. Per come la conosce lei, oggi troverebbe dei ruoli adatti e che la possano interessare?

Anna Magnani è un archetipo del femminile, e dunque credo sia possibile “sciogliere” la sua maschera in molti personaggi della nostra attualità: la madre di un tossico picchiato in carcere che si batte per salvare la memoria di suo figlio, può funzionare egregiamente anche oggi, come è accaduto  in “Mamma Roma”. La  moglie di  uno sfruttatore di emigranti sottopagati, che vedendo un minorenne crepare di fatica manda a quel paese il suo uomo, un violento che ha brutalizzato anche lei. L’arcigna “cravattara” che ha messo da parte ogni ritegno umano e  che strangola i propri debitori. La dottoressa di frontiera in un quartiere periferico.  Questi sono solo alcuni esempi. Credo che la maschera della Magnani sia capace di  campeggiare in molte storie.  Certo, devono essere spunti potenti, ferini, che le diano modo di sfoderare la sua forza di attrice.

  • Cosa l’ha spinta a indagare così a fondo la “spettacolare” vita di questa attrice?

Avevo scritto un saggio sulla donna nel cinema italiano, dall’epoca del sonoro al 1977, intitolato “Malafemmina”.  Studiando quel lungo periodo, il personaggio della Magnani si è imposto alla mia attenzione e ho avuto il desiderio di conoscerla meglio. Era mancata da  pochi anni, il giornalismo e i critici sembravano averla dimenticata frettolosamente. Ho dovuto penare per trovare un editore.  Alla fine la Rizzoli mi disse di sì, con una clausola:  non doveva essere un libro per cinefili. Doveva andar bene anche a chi non avesse mai visto un film di Anna. Così ho fatto, perché la sua vita di donna è stata forte e spettacolare come una saga cinematografica. Oggi si direbbe come una serie.

  • Si sentirebbe di dire che è stata ed è la nostra più grande attrice?

Confesso che non mi piacciono le classifiche. Credo che la Magnani sia stata un personaggio incatalogabile, un misto di antico e moderno. Nelle scelte artistiche come quelle della sua vita. E’ stata diva ma antidiva, antica ma modernissima, libera nella vita come nella professione. Non ha avuto produttori che la proteggessero. Tutto quel che le è venuto dal cinema e dal teatro è sempre scaturito dalla sua forza di interprete. Anche quando ha sbagliato, l’ha fatto con una personalità unica.

  • Quando ha iniziato a lavorare al libro immagino ci siano stati momenti di suo stupore, sorpresa… quale ambito della sua vita hanno riguardato?

Molti anni fa quando lavorai alla prima stesura di questa biografia, ho ascoltato una sterminata messe di persone che avevano avuto a che fare con lei e che erano ancora vive. Ognuna di queste persone mi ha raccontato pregi e difetti, ognuna è stata capace di soprendermi. Fra i tanti mi piace ricordare il grande Sergio Amidei, lo sceneggiatore di “Roma città aperta”, divenuto suo grande amico. È  lui che mi ha raccontato come nacque l’idea della corsa disperata di Anna dietro il camion dei nazifascisti che  la uccidono con una sventagliata di mitra. Una scena  che è diventata il simbolo del neorealismo. Ad Amidei  l’idea era venuta in mente vedendo Anna che inseguiva  a piedi l’automobile di Massimo Serato, suo innamorato, coprendolo di insulti. L’invenzione si nutre di tutto, anche di un addio tumultuoso.

  • Nel leggere il libro si ha la sensazione che sia stata una donna spigolosa, o anche difficile. Atteggiamento da diva o naturale propensione?

Naturale propensione. Anna è stata sempre difficile, fin dai  tempi della sua lunga gavetta teatrale. Però era una donna generosa, che sapeva riconoscere l’altrui talento. Ha letteralmente adorato Vera Vergani, grande attrice degli anni Trenta,  nella cui compagnia ha lavorato. Quando  vinse l’Oscar  nel ’56 mandò a Vera un telegramma di ringraziamento, per gli insegnamenti che da lei aveva avuto.  Non lavoravano più insieme da vent’anni!

  • Scrivere di lei ha creato in lei delle connessioni profonde con questa donna, immagino. L’avrebbe voluta come amica?

Ho avuto il privilegio di cenare con lei, nel 1971. Ero raggelata dalla soggezione, e dall’aura magnetica che spargeva attorno a sé, anche quando tagliava la bistecchina da incartare e portare al suo cane che la aspettava in albergo. Si può essere amici di una divinità? Non credo. Si può soltanto adorarla.

(a cura della redazione)

 

 

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