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La filosofia di Bob Dylan
di Giovanni Graziano Manca
Canta Dylan, parafrasando la “Song of myself” whitmaniana di “Foglie d’erba”, in “I contain multitudes”: “Vado fino al limite, vado fino alla fine/Vado proprio dove tutte le cose perse vengono rese di nuovo belle/Canto le canzoni di esperienze come William Blake/Non ho scuse da fare/Tutto scorre allo stesso tempo/Vivo sul viale del crimine/Guido auto veloci e mangio fast food/Contengo moltitudini//”. Sono, quelli proposti, versi di una canzone pubblicata dal cantautore del Minnesota nel 2020, alla soglia degli ottant’anni. Versi che mostrano un Dylan impegnato in una riflessione intima che coinvolge se stesso come uomo e come artista a tutto tondo che richiamano soprattutto la straordinaria complessità e poliedricità di un personaggio che, nel corso degli anni, da decenni a questa parte, abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Cantante, interprete, musicista e autore folk, rock, soul e gospel, pittore, poeta, scrittore e perfino cineasta e scultore del ferro, veramente Dylan (in quante occasioni lo abbiamo potuto constatare!), nei più nascosti recessi di se stesso sembra contenere interi universi. Come scrive Edmondo Berselli allo scopo di mettere nella giusta prospettiva l’unicità dell’artista (la citazione è posta in epigrafe nel libro di Giorgio Brianese) “Dylan non ha predecessori ne successori, Dylan è venuto da Marte”. La complessità artistica di Dylan e la profondità dei messaggi contenuti nelle sue canzoni (senza trascurare la pluridirezionale visione dylaniana del mondo e delle cose come emerge dalle interviste rilasciate e dai libri, dai dipinti e dai film, e cosi via), sembrano di per sé autorizzare la formulazione di ipotesi circa l’attitudine filosofica della sua opera. Nel libro, Giorgio Brianese (esperto nelle relazioni esistenti tra filosofia, letteratura e musica) cerca di tratteggiare una filosofia dylaniana, ammesso che questa esista effettivamente (annotazione a margine: sembra che il nuovo libro di Bob, dopo “Chronicles” uscito quasi due decenni fa, significativamente abbia in qualche modo a che fare con la filosofia. Il titolo del libro è “The Philosophy of modern song” e raccoglierà anche scritti sul tema della composizione delle melodie e dei testi delle canzoni). Il saggio si fonda, oltre che sui comportamenti a cui l’artista da sempre ha abituato il suo pubblico, su testi filosofici e sulle liriche di alcune delle canzoni di Dylan. Scrive Brianese che Dylan è “[…] un artista maiuscolo e geniale […] che, sperimentando, si stupisce ogni volta della propria stessa opera e che ha la capacità straordinaria di suscitare anche nel fruitore che sia in grado o che abbia occasione di saper prestare ascolto una meraviglia analoga. Mi chiedo se questo non contribuisca a fare di Bob Dylan un autentico filosofo […] “, e ancora, che il fatto che Parmenide di Elea “[…] abbia scritto in versi e che, ciononostante, sia annoverato tra i massimi filosofi dell’Occidente, fornisce qualche spunto significativo anche per comprendere la qualità filosofica delle canzoni di Dylan e, più in generale, per ipotizzare che la canzone possa avere in quanto tale uno spessore filosofico importante.” Interrogativi apprezzabili e certo non peregrini, quelli posti da Brianese, su certi caratteri dell’opera di una delle più influenti icone musicali artistiche e culturali dell’ultimo mezzo secolo.
Giorgio Brianese – “La filosofia di Bob Dylan”, 66 pagg., euro 8, Mimesis edizioni, Milano 2022
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