Lo Zibaldone
Ninfa in Labirinto
di Francesco Roat
La mitologia ci narra che le ninfe sono delle divinità, ma moriture, in quanto vivono a lungo ma non per sempre. Esse abitano in prevalenza le acque, i boschi, gli antri, ma vagano ovunque e si può ben dire ‒ come fa Susanna Mati nel saggio Ninfa in labirinto ‒ che si trovino “in mille forme dappertutto”, poiché risultano: “connaturate al cosmo vivente, prime denominazioni dei moti della sua vita”. Non a caso, secondo Esiodo, esse nascono dalle gocce di sperma sprizzate via dalla castrazione di Urano; e a detta di Porfirio le ninfe altro non sono che le anime. Va altresì precisato che, in antico presso i greci, si era soliti chiamare ninfe le donne in procinto di sposarsi (quindi di generare), che venivano perciò cosparse d’acqua attinta da una fonte/sorgente: simbolo di generatività perenne. Non dimentichiamo inoltre che vien detta ninfa, o pupa, la fase intermedia della metamorfosi di vari insetti a seguito del periodo larvale attivo. Peraltro la farfalla, in greco, è detta psyche, giusto come l’anima.
Insomma, la ninfa appare complessa figurazione allegorico-metaforica multiforme, che la Mati insegue ben consapevole di come la ninfa sia sfuggente e inafferrabile da parte di noi umani; così com’è difficile tracciare una mappatura del suo movimento erratico che non sia sempre fatalmente incompleta e provvisoria, rivelandosi l’essenziale modo di porsi della ninfa: “pietra d’inciampo al pensiero sistematico o incongruità avversa ai rettilinei”. Quella descrittaci dai miti e dalle immagini artistiche è dunque una sorta di femminino arcaico, anzi: una “donna liquida”, in perenne movimento/fuga, è ‒ o forse, per meglio dire: era ‒ imago di una dynamis, di una potenza della vita biologica in continuo, inarrestabile divenire. Ancora, ci ricorda la Mati, le ninfe in perpetuo moto danzante e canoro risultano imparentate con le Muse; per quanto le prime abbiano meno pretese culturali e ognuna di loro: “vorrebbe essere figura di quella lingua primordiale non designante, in cui la parola si fa luogo d’un apparire; non segno, dunque, ma la cosa stessa, luce del giorno, fonte, ninfa”.
Ma la ninfa ondivaga non vaga solo nella remota grecità, evadendo dall’Età antica per rimodularsi nei secoli successivi. La ritroviamo nel giardino ombroso del Purgatorio dantesco trasformata nella donna angelicata Matelda che fa immergere il poeta nel Letè ‒ il fiume che cancella la memoria del peccato ‒, per poi bagnarlo nelle acque dell’Eunoè, il cui significato è memoria del bene compiuto in vita. Quindi la vediamo tramutarsi, con Boccaccio, in oggetto: “fin troppo carnale ed afferrabile”. In effetti Firenze diviene luogo adottivo ninfale dove le nostre antieroine si mostrano: “pronte ad irrompere in ogni decorazione pittorica del Rinascimento”; valga una per tutte quella che le vede far corteo cortese a Venere nel quadro celeberrimo di Botticelli.
Anche nella modernità alberga la ninfa e l’autrice la rincorre agilmente/sapientemente, rintracciandola in Nietzsche e in Montale; mentre la cerca invano nelle attuali metropoli, dove semmai essa appare: “in disarmo, casca a pezzi, è marcia di nevrosi; intarlata dal dubbio sulla propria esistenza, si scorteccia pian piano, s’inaridisce e secca”; per farsi infine pornoninfa: immagine di un desiderio ora tutto maschile, ora indice d’una insaziabilità amorosa che alcun congiungimento/appagamento potrà mai soddisfare Un fatto resta comunque certo ‒ sono senz’altro d’accordo con Susanna Mati ‒: non salveranno le ninfe dall’inquinamento della civiltà industriale né i parchi artificiali, né le oasi faunistiche.
Così dall’attualità è meglio tornare al tempo arcaico mitologico e parlare del capitolo più felice di un libro davvero notevole: quello sulla Ninfa in labirinto, ossia Arianna. Colei che, come tutti sapranno, aiutò Teseo ad uscire dal labirinto, all’interno del quale egli uccise il mostro Minotauro; però l’eroe greco ‒ secondo la versione più celebre del mito ‒, portatala con sé sulla sua nave, abbandonerà poi la donna sull’isola di Nasso, dove tuttavia Arianna sarà poi salvata dal dio Dioniso che la trarrà seco sull’Olimpo. Ma questa ninfa o dea, vera e propria Signora del labirinto, come ebbe a chiamarla Kerény, non è assente da un aspetto inquietante, essendo possibile riferirsi a lei come alla sovrana del regno ctonio dei morti e al labirinto quale basilica sotterranea nonché costruzione/finzione simbolica, indicativa dell’intricato percorso esistenziale che ciascuno di noi deve fatalmente percorrere.
E, dice bene la Mati: “Il nostro percorso, pur nella rigidità della sequenza entrata-centro-uscita è un mistero ovvio che si ripresenta come archetipo di ogni umana esperienza”. Allora Arianna è pure signora della psyche e ci: “dona lo spazio da cui non si esce vivi”, perché l’esistenza è aporetica, manca una via d’uscita che non sia appunto il mysterion di quell’abisso costituito dalla morte; secondo Amleto: Il paese inesplorato dal cui confine / Nessun viandante ritorna (The undiscovered country from whose bourn / No traveller returns).
Susanna Mati
Ninfa in labirinto. Epifanie di una divinità in fuga
Moretti&Vitali, 2021
pp. 151, euro 16,00
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