Lo Zibaldone
Una lettera per Sara
E’ da quando ho terminato la lettura dell’ultimo romanzo di Maurizio de Giovanni, Una lettera per Sara (Rizzoli), che sono punta da vaghezza di porre quella domandina antipatica e saccente che tutti ci siamo sentiti rivolgere in varie occasioni della vita e che suona: Ve l’avevo detto io… ? Già perché, ammettiamolo pure, l’arrivo, tre anni or sono, di una terza serie narrativa siglata de Giovanni con protagonista una figura femminile così spiazzante – non giovane, dimessa nell’aspetto, inafferrabile nel carattere a tratti urticante e scomoda anche per il lavoro svolto per anni in un corpo segretissimo dei Servizi Segreti, e per di più fuori da ogni cliché e stereotipo, anche televisivo -, l’arrivo di questa serie, dicevo, è risultato in un primo momento destabilizzante per molti degli aficionados ricciardiani e bastardiani. E io, a chi mostrava perplessità di lettore, ripetevo con antica saggezza orientale: dategli tempo, lasciate che il personaggio si consolidi, che la serie prenda vento e trovi la sua strada, vedrete, vedrete… Ma perché questo vento soffiasse in modo deciso era necessaria forse la scomparsa (momentanea o definitiva che sia) del commissario Ricciardi. Perché? Provate a osservare con un po’ di attenzione in filigrana i due personaggi, Luigi Ricciardi e Sara Morozzi: non può sfuggirvi che qualcosa del commissario operante nella Napoli degli anni Trenta è stato instillato nel personaggio della Sara dei giorni nostri. Entrambi, pur così diversi, presentano alcune caratteristiche che li accomunano e che li hanno resi individui silenti, solitari, a tratti scontrosi. Apparentemente imperturbabili, sempre impenetrabili, privi di guizzi evidenti di vitalità e allegria, pure conoscono la passione e la sua potenza a volte distruttiva, e essi stessi ardono di un amore esclusivo, durevole e totalizzante che pochi hanno la fortuna (o sfortuna) di incontrare nel corso della vita.
Anche lo sguardo dei due – verdi e magnetici gli occhi dell’uno, di un azzurro intenso quelli dell’altra-, incute disagio in chi ha la ventura di incrociarlo. Vediamoli a confronto:
“/…/ E poi quegli occhi verdi: quegli inquietanti occhi verdi, trasparenti come il vetro, con le palpebre che non sbattevano mai; quegli occhi che ti sfidavano senza sfidarti, che ti mettevano di fronte alla parte peggiore di te stesso, quella che non volevi conoscere, quella che non sapevi di avere” ( Il giorno dei morti. L’autunno del Commissario Ricciardi)
“Pardo aveva sperimentato la forza degli occhi di Sara, che la donna teneva quasi sempre rivolti a terra o verso un punto imprecisato. Erano azzurri e penetranti, e riuscivano per qualche strana magia a mettere gli altri di fronte al proprio lato oscuro. Erano bellissimi e tremendi, e lei era molto abile a risultare anonima pur essendo in possesso di uno sguardo così” (Una lettera per Sara)
Per di più, e qui veniamo al dunque, entrambi i personaggi sono dotati di un potere – innato ed ereditario per via materna in Ricciardi, acuito e perfezionato dalla professione, in Sara -, che non li agevola nella vita sociale e che è uno dei motivi che anzi li spinge a isolarsi e a rifuggire dalla gente e dai luoghi affollati. Riccardi scorge le presenze fantasmatiche dei trapassati di morte violenta e ascolta le ultime parole del loro commiato improvviso e crudele dalla vita, Sara ha la capacità di leggere i segni, non solo labiali, ma anche della postura e dei gesti dei suoi interlocutori decriptando i codici segreti delle loro personalità . In qualche modo, anche lei come il nobiluomo di Fortino è afflitta dal “fatto”, così Ricciardi definisce il suo potere: e se in Sara il fatto ha un carattere più pragmatico e scientifico, esso non risulta meno scomodo e gravoso da gestire nella quotidianità.
Sara, infine, è uno spirito solingo e solitario che però, ancora una volta come accade per Ricciardi col brigadiere Maione e il dottor Modo, può contare almeno su due persone, l’ispettore di polizia Pardo e la giovane fotoreporter Viola, che le sono devote, che su di lei contano e con lei collaborano alla soluzione dei casi. C’è insomma qualcosa dell’aura ricciardiana che l’autore ha trasferito (in modo volontario? Involontario? Non saprei) in questo personaggio e che poteva portare a perfetto cesello solo nel momento in cui l’altro protagonista, eccessivamente ingombrante come tutti i personaggi troppo amati dal pubblico (vi ricorda qualcosa Sherlock Holmes?) viene mandato in quiescenza. E infatti il terzo libro della saga di Sara porta a compimento il tragitto avviato coi primi due libri, per di più tracciando già la strada (con un cliffhanger che piuttosto che stemperare la suspense la accresce) a nuove storie, in cui probabilmente il piccolo team operativo si allargherà includendo un personaggio che fa la sua comparsa in questo romanzo e che presenta caratteristiche che lo rendono accattivante e letterariamente promettente di sviluppi.
E se un ulteriore tratto che in questa nuova saga ci restituisce il de Giovanni ricciardiano è nel rapporto stretto, sentimentale e quasi sensoriale, che l’autore attribuisce alle stagioni e addirittura ai singoli mesi dell’anno, diversa è la percezione della città che in questa serie segna un decisa svolta anche rispetto al ciclo narrativo dei Bastardi di Pizzofalcone. Qui infatti, quasi in sintonia con la fisionomia anonima e apparentemente invisibile della protagonista, la città di Napoli arretra fin quasi a scomparire: più volte accenni e richiami ribadiscono la location partenopea delle vicende narrate, ma non compare alcun riferimento esplicito o indicazione precisa. I riferimenti a vie e luoghi solitamente così puntuali e precisi, appaiono volutamente vaghi e indefiniti in quest’opera che vuole segnare una svolta coraggiosa. E per farlo l’autore sa di dover andare oltre il già narrato e che gli ha conquistato un numero così alto di lettori. Su un filone di successo, ben lo sa de Giovanni, si può vivere di rendita a lungo, prolungandolo nel tempo e contando su un pubblico fedele e rassicurante. C’è chi invece al colmo della fortuna di una serie narrativa, decide di tentare nuove strade, e di rimettersi audacemente in gioco. De Giovanni lo ha fatto e la nuova carta che ha in mano reca l’immagine ingrigita e un po’ anonima di una signora di mezza età. Ma nel suo sguardo magnetico e misterioso il lettore troverà la forza trascinante di questa ormai avviata eppure ancora nuova, intrigante, avventura narrativa.
Maurizio De Giovanni
Una lettera per Sara
Rizzoli, 2020
pp.336, Euro 19,00

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